In Germania la memoria delle vittime e dei crimini nazisti si è definita nella forma odierna, di una “cultura della memoria”, a partire dalla riunificazione del 1989. In particolare l’era Merkel (2006-2022) ha codificato un insieme di giudizi condivisi di condanna netta del passato nazista, riflessi in maniera definitiva nella topografia monumentale berlinese e in pratiche commemorative incentrate sulle vittime. Il tributo collettivo alle vittime del nazismo non è però un fenomeno scontato: non solo perché ci sono volute tre generazioni di battaglie politiche per definire un tale paradigma, ma anche perché sempre costante è il riproporsi di teorie revisioniste e banalizzanti.
Minimizzare sul nazismo è una pratica ricorrente da decenni e la si vede affiorare già alla fine degli anni cinquanta con la pubblicazione di centinaia di memorie da parte di criminali di guerra. Esemplare tra queste è Vittorie Perdute di Erich von Manstein, un’opera, come quelle ad essa affini, tesa a offuscare la dimensione oscena dei crimini recenti che timidamente cominciava in quegli anni a emergere grazie ai primi processi al nazismo. 30 anni dopo, nel 1986, un gruppo di accademici conservatori capitanati da Ernst Nolte inaugurarono la stagione del revisionismo storico lamentando un “passato che non passa” e che doveva essere superato, nonostante la società circostante fosse in realtà fittamente popolata da migliaia di nazisti e criminali impuniti. Questa forma di banalizzazione della storia ha sempre avuto una funzione politica e si è definita nelle forme di un lessico forte ed evocativo. Espressioni come “vittorie perdute” e “passato che non passa” hanno svolto la funzione di strumentalizzazione storica.
Gli epigoni di questa tradizione abitano l’era digitale: protagonista assoluto di tali pratiche è oggi il partito di estrema destra AFD (Alternativ fur Deutschland), una sorta di coagulo delle tendenze neonaziste da un lato e del conservatorismo radicale dall’altro, entrato in parlamento a partire dal 2013. Da almeno cinque anni l’AFD è sotto osservazione da parte della più alta istituzione della Repubblica federale, la corte costituzionale (Verfassungschutz). Estremamente attivo nei social media, l’AFD si è prefissato una riabilitazione della retorica e delle forme lessicali del nazismo tramite una produzione costante di contenuti revisionisti.
Tra i vari interventi dell’AFD vi è il discorso dell’allora presidente del partito Alexander Gauland, che a un incontro con i giovani del movimento nel giugno 2018 pensò bene di affermare “Hitler e i nazisti sono del guano d’uccello (Vogelschiss) nei più di mille anni della prestigiosa storia tedesca” (si veda il video a partire da 00:59).
A colpire non è solo la volgarità intrinseca di queste parole, che feriscono innanzitutto la memoria delle vittime, ma l’obiettivo evidente di cancellare il peso di quel passato in quanto elemento fondante la democrazia odierna, smontandolo a colpi di battute, scherno e ignoranza. La tecnica è nota e viene perseguita da molti partiti populisti in tutta Europa: si tratta di banalizzare, attraverso l’offesa e la burla le regole del gioco democratico, ovvero la salvaguardia del rispetto, della dignità e della memoria collettivi. Naturalmente Gauland, come molti altri populisti europei, è poi corso il giorno seguente a scusarsi in diretta dal parlamento (non si sa bene con chi, probabilmente con la parte più moderata dei conservatori) ma l’invito del partito di estrema destra è chiaro: “Hitler e i nazisti”, ovvero la memoria dei crimini e delle vittime del nazifascismo, possono essere cancellati dalla memoria pubblica “come guano d’uccello”.
(Aggiornato al 7 luglio 2022)