Dal Louvre alla Mole Antonelliana, passando per l’Hermitage di San Pietroburgo, gli Uffizi e qualche museo inventato. Un film tira l’altro, una scena al Louvre ne fa venire in mente un’altra, un film di Hitchcock richiama l’omaggio che gli rende il manierista De Palma. In undici scene da film il museo emerge come uno spazio dove si possono fare molte cose: guardare (ovvio), ma anche rifugiarsi, corteggiare o rubare. Il museo, insomma, è un luogo per l’azione. Quindi: azione!
1. Bande à part (Jean-Luc Godard, 1964)
Due amici e un’amica scommettono che si può battere il record di visita più veloce del Louvre (9’45’’), detenuto da un americano. Partono così in una gara folle ed ebbra di vita attraverso le sale del museo, sotto lo sguardo attonito dei custodi, che non erano stati avvertiti delle riprese. Una corsa che è sinonimo di nouvelle vague, ovvero di libertà. Omaggeranno questa scena Bernardo Bertolucci in The Dreamers (2003) e Agnès Varda e JR in Visages Villages (2017). Anche se è di corsa, Varda non resiste alla tentazione di fermarsi ad ammirare i quadri di Arcimboldo.
2. Arca russa (Russkij Kovčeg, Aleksandr Sokurov, 2002)
Un film girato in un unico piano-sequenza all’interno dell’Hermitage di San Pietroburgo. Come un museo, come l’arca di Noè, il piano-sequenza tutto abbraccia e tutto salva.
3. Une visite au Louvre (Danièle Huillet e Jean-Marie Straub, 2004)
Torniamo al Louvre. Due registi ci accompagnano in giro per le sale, e nel frattempo leggono degli estratti, fra cui un brano memorabile in cui Paul Cézanne dichiara il suo disprezzo per il Marat assassinato di Jacques-Luis David: “Non conosco niente di più freddo del suo Marat, che eroe gretto! Un uomo che era stato suo amico, che era stato assassinato, che egli doveva glorificare agli occhi di Parigi, dell’intera Francia, di tutta la posterità! Non lo ha forse rattoppato con il suo lenzuolo e slavato nella sua vasca? Egli pensava a quello che si sarebbe detto del pittore e non a quello che si sarebbe pensato di Marat. Cattivo pittore. E aveva avuto il cadavere davanti agli occhi”.
4. Il codice da Vinci (The Da Vinci Code, Ron Howard, 2006)
Come tutti sanno, il Louvre conserva la Monna Lisa che ha ispirato, fra le altre cose, Il codice da Vinci di Dan Brown. Nel film tratto dal romanzo, al museo si consumano omicidi e si svelano complotti ed enigmi. Tutto nasce da quel sorriso.
5. La donna che visse due volte (Vertigo, Alfred Hitchcock, 1958)
Madeleine siede a lungo davanti al ritratto di Carlotta, una donna del XIX secolo morta suicida. Un uomo, incaricato di investigare su di lei, la spia da lontano, senza farsi notare. Quel quadro è uno specchio, un oggetto propulsivo che spingerà al suicidio anche la spettatrice? La vertigine dello sguardo, della bellezza, della consolante o preoccupante potenza identificativa delle opere d’arte.
6. Vestito per uccidere (Dressed to Kill, Brian De Palma, 1980)
Una donna sola, tutta vestita di bianco, sulla panca di un museo. Un uomo scuro si siede accanto a lei. Sembrerebbe l’occasione per un incontro, ma l’uomo si alza e se ne va. Perché a quel punto la donna lo segue, se l’uomo appare così nosocomiale, così francamente inquietante, morboso, se non addirittura perverso? Sensualità, gelo, ambiguità sessuale, il gusto e il rischio della seduzione. Nessun dialogo, nessuna parola. Solo gesti, e una musica che progressivamente si gonfia. Cosa vuole quella donna, cosa pensa? Thriller nella sua essenza, linguaggio del cinema nella sua essenza.
7. Provaci ancora, Sam (Play It Again, Sam, Herbert Ross, 1972)
Il protagonista, interpretato da Woody Allen, tenta di rimorchiare una ragazza nelle sale di un museo d’arte contemporanea. Ecco il suo approccio:
– È uno dei migliori Pollock, non trova?
– Sì, infatti.
– A lei che cosa le dice?
– Secondo me riafferma la negatività dell’universo; la terribile vacuità solitaria dell’esistenza; il nulla assoluto; la condizione dell’uomo costretto a vivere in una deserta eternità senza Dio, come una piccola fiammella tremolante in un immenso involucro vuoto, con null’altro che paura, orrore, schifo e degradazione che formano una squallida ed inutile camicia di forza sospesa in un cieco ed assurdo cosmo.
– Che fa sabato sera?
– Occupata, devo suicidarmi.
– E venerdì?
8. Batman (Tim Burton, 1989)
I musei attirano anche i cattivi. Joker, l’antagonista di Batman, si introduce nel Gotham Museum per il puro gusto di vandalizzarlo. Distrugge statuette egizie, imbratta i Rembrandt, lascia la sua firma sulle opere: “Joker was here”.
9. Black Panther (Ryan Coogler, 2018)
Talvolta i furti assumono la forma di “restituzione”, come quando il popolo di Wakanda si riappropria di un reperto, un martello da guerra, trafugato ed esposto in un museo inglese. Il film ha sollevato una discussione su questi temi, in seguito alla quale il British Museum, che ha oggettivamente sfruttato il passato coloniale dell’impero britannico per costruire le sue collezioni, ha diramato un comunicato in cui dichiara di accettare proposte e consigli su come gestire le opere di origine africana in suo possesso. #decolonizemuseums
10. La sindrome di Stendhal (Dario Argento, 1996)
E l’Italia? In Italia, e in particolare agli Uffizi, si rischia la sindrome di Stendhal. Nel film di Dario Argento la protagonista sviene davanti alla Caduta di Icaro di Bruegel il Vecchio. Si tratta di una licenza poetica (il dipinto non è esposto agli Uffizi) che serve a specchiare la caduta del personaggio, ma anche l’orrore/horror del non visto (in quel quadro Icaro è praticamente invisibile).
11. Dopo mezzanotte (Davide Ferrario, 2004)
Ho tenuto per ultimo un film ambientato in un museo del cinema, la Mole Antonelliana di Torino. Davide Ferrario rende omaggio alla storia della settima arte e a coloro che, amandola, lavorano a conservarla e a divulgarla.
Alberto Brodesco
Esperto di Media Studies. Scrive su riviste di cinema e discussione culturale e ha pubblicato libri e saggi su temi quali la triade sguardo/corpo/violenza, la scienza sullo schermo, le culture visive contemporanee.
(Aggiornato al 17 novembre 2022)