QVANDO C’ERA LVI. Si può ridere del fascismo?

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Quando ridiamo del nostro passato? Quando riusciamo a fare dell’autoironia su un episodio trascorso nella nostra vita? In genere accade quando lo abbiamo metabolizzato, il che significa più o meno averlo guardato con un certo distacco e interiorizzato una serie di valutazioni su di esso. Compiuta un’analisi di questo genere, qualunque sia il risultato finale, possiamo pure riderci su. Altrimenti, il passato diventa indicibile e di certo non può essere oggetto di una risata.
Può darsi che qualcosa del genere, pur con le dovute proporzioni, avvenga anche con uno specifico episodio della storia di un popolo o di un paese. Se con quel passato non si sono fatti i conti, diventa complicato parlarne, figuriamoci riderci sopra. 

Del Fascismo in Italia si può ridere? Ovviamente non ci si riferisce alle morti e al dolore causati ma ai miti dell’ideologia fascista: questi si possono deridere?
Insomma, verrebbe da rispondere. Nel 2016 al Romics – la rassegna internazionale sul fumetto, l’animazione e i videogiochi organizzata dalla Fiera di Roma – la casa editrice Shockdom presenta in anteprima il fumetto QVANDO C’ERA LVI  di Daniele Fabbri e Stefano Antonucci. Le copie vanno a ruba, ma verso la fine dell’evento accade un episodio singolare: Davide di Stefano, esponente di CasaPound, finge di inciamparsi e versa Coca Cola sui fumetti; poi, assieme ad un paio di altre persone, danneggia lo stand e rivolge insulti ai membri della casa editrice. 

Il video del gesto, dalla dinamica piuttosto imbarazzante, viene caricato dallo stesso Di Stefano su YouTube, dove però ora non è più visibile. Seguono a questo altri episodi di intimidazione rivolti stavolta direttamente agli autori del fumetto. 

Copertina di QVANDO C’ERA LVI

Eppure la satira sui miti e i tratti del fascismo non è una novità. 
La memoria va a Fascisti su Marte, serie di indimenticabili sketch interpretati da Corrado Guzzanti durante il programma Il caso Scafroglia in onda su Rai 3 nel 2002. Un prodotto televisivo trasformato poi dallo stesso Guzzanti e da Igor Skofic in un lungometraggio uscito nel 2006 con un buon riscontro al botteghino (ma non di critica).

“Su Marte non c’è atmosfera ed anche il torace più maschio e impavido s’affoga nel vuoto e cerca ristoro. Fecchia e Pini annaspano, Freghieri, campione littorio di nuoto d’audace stirpe palombara, ha il solo fiato per dire: “Non c’è aria”. Un semplice “Me ne frego” sostituisce respiratori e vezzosi orpelli con cui le donnette arricchiscono il paese della sterlina e la marcia riprende. Ossigeno o no, Marte sarà conquistata”.

Da sinistra Andrea Purgatori (Fecchia), Andrea Blarzino (Santodio), Corrado Guzzanti (Barbagli), Marco Marzocca (Freghieri), Pasquale “Lillo” Petrolo (Pini) in Fascisti su Marte.

L’idea è stata quella di creare dei finti cinegiornali Luce – con uno stile parodia di quelli veri – che raccontano un’ipotetica impresa colonialista del Fascio per assoggettare il Pianeta rosso per antonomasia, Marte per l’appunto, grazie alle imprese di un uomo forte al comando di uno sparuto drappello di sottoposti. Tutti i cliché della narrazione fascista di un’impresa epica sono qui presenti e ridicolizzati.

Nella narrativa classica la parodia sul fascismo ha una lunga tradizione. Basti pensare alla vena dissacratoria che si irradia nel romanzo di esordio di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di Ragno pubblicato nell’immediato dopoguerra (Italo Calvino, Einaudi, 1947) dove i fascisti sono tutti personaggi un po’ ottusi e tonti. Oppure si può ricordare Fontamara di Ignazio Silone pubblicato dapprima in lingua tedesca in Svizzera nel 1933 e poi in Italia nel 1947 (Ignazio Silone, Verlag Dr. Oprecht & Helbling AG., 1933 e Editrice Faro, 1947). Qui nel racconto degli inganni e dell’immoralità del partito fascista emerge anche una vena comica data dai “cafoni” che non capiscono e di fatto depotenziano così i miti del fascismo.

Quindi perché QVANDO C’ERA LVI ha destato tanto scalpore?
In questa intervista, realizzata da Fanpage.it, uno degli autori, Daniele Fabbri, racconta il suo punto di vista sulla questione.

Ma facciamo un passo indietro osservando come è fatto QVANDO C’ERA LVI. Si tratta  di una miniserie in quattro fumetti incentrata su una specie di esperimento alla Frankenstein Junior: un gruppo di nostalgici decide di riportare in vita Mussolini con l’aiuto di un ex ufficiale nazista esperto di genetica. Il duce torna in vita, ma come accadeva in Frankenstein Junior qualcosa va storto. Sì perché Benito Mussolini è tornato, ma non è più lo stesso. È nero. Ma non politicamente parlando, è proprio nero, di colore.

Ecco allora che il gruppetto prima cerca di nascondere il fattaccio, poi lo normalizza agli occhi dell’opinione pubblica nell’unico modo a loro conosciuto: additando, cioè un nuovo nemico. Per farlo si servono in modo spregiudicato e massiccio della televisione e dei social network. 
Qui c’è forse una delle motivazioni dell’attenzione – benevola e malevola – riservata a questo fumetto: la trama è dissacrante e intrigante, e soprattutto perfettamente adesa al presente. Si leggono alcuni meccanismi di creazione dell’odio ancora attivi, non solo, certi personaggi sono facilmente riconducibili a persone reali. 

E poi ci sono da considerare il mezzo e il linguaggio utilizzati. Il fumetto è un genere in grado di parlare ad un pubblico giovane, è immediato e non necessita di una particolare preparazione o conoscenza in partenza. Non solo, è per antonomasia adatto ad un discorso satirico che attraverso le tavole viene amplificato. Il linguaggio testuale e visivo  scelto è ironico ma a tratti duro, crudo, non risparmia colpi bassi e provocazioni. 

Insomma QVANDO C’ERA LVI può piacere o no, alla fine è questione di gusti, ma di sicuro l’operazione è potente. Ha reso infatti evidente un nervo scoperto: non tutti sono disposti ad accettare che sui miti del fascismo si faccia satira, il che equivale a dire che non tutti sono disposti a guardare a quel fenomeno con un ragionato distacco.

(Aggiornato al 6 maggio 2022)