Rovistando negli archivi a volte succede di imbattersi in una carta inaspettata, che non risponde per niente ai bisogni che la ricerca impone in quel momento, ma per qualche motivo rimane impigliata alla nostra attenzione. Possono essere le strane formule del linguaggio burocratico a destare la curiosità dello storico, quando si parla di bevande spiritose a proposito degli alcoolici ad esempio, oppure la presenza stessa di un argomento in un periodo o in un ambito del tutto inatteso.
E’ quello che mi è successo a proposito del titolo di un documento diligentemente riportato in uno dei repertori che raccolgono anno per anno in rigoroso indice alfabetico tutti gli atti del comune di Trento, si trattava di quello del 1900, che alla voce Forestale recitava: «Divieto di porre in vendita senza licenza “Alberi di Natale” pianticelle di pino ed abete – da invigilare».
La notizia in sé, che vendessero alberelli tagliati abusivamente, apparentemente non è straordinaria, i trasgressori alle norme in particolare a quelle fiscali sono sempre esistiti. Lo strano sta proprio nell’oggetto, in quell’albero di Natale che comunemente si sa diffuso in Italia solo all’indomani della Seconda guerra mondiale, con l’inizio del boom economico e l’assunzione dei modelli di comportamento e dei simboli natalizi di derivazione statunitense.
Non era il presepio la tradizione per eccellenza del Natale cattolico e latino? Questo frammento documentario sembra insinuare un dubbio e confermare il carattere plurimo dell’identità culturale trentina, che si manifesta anche nella celebrazione della più importante festa religiosa cristiana.
La tradizione dell’albero di Natale risale ai popoli germanici, mentre quella del presepio è di origine italiana, lo realizzò per la prima volta S. Francesco con i suoi frati nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1223 a Greccio, vicino a Rieti.
Le leggende circa l’origine dell’abete come simbolo natalizio sono numerose e affondano nell’insieme dei riti che accompagnavano l’inizio del lungo inverno nordico. I sacerdoti celti festeggiavano il solstizio d’inverno proprio onorando gli abeti, che per il loro carattere di sempreverdi avevano assunto il simbolo di lunga vita. Fonti documentarie narrano che in Alsazia si autorizzarono nel 1521 dei contadini a tagliare il loro albero di Natale, e una cronaca di Strasburgo del 1605 precisa che si portarono in casa degli abeti ornati con rose di carta, mele, zucchero e oggetti dorati. Nel 1840 la principessa Elena di Germania, sposa del duca d’Orleans, stupì la corte parigina decorando il suo albero alle Tuileries, e da quella reggia la moda dell’albero di Natale si diffuse poi nelle altre corti europee proprio attraverso i matrimoni con nobili tedeschi. Dopo la Francia fu il caso dell’Inghilterra, dove il principe Alberto di Sassonia, tedesco e sposo della regina Vittoria, inaugurò questa abitudine.
E’ banale osservare che la tradizione si diffonde nel periodo controriformista in paesi che si separano dalla chiesa romana per dotarsi oltre che di regole originali e nuove, anche di riti autonomi.
Molto lontana dall’origine geografica tutta nordica dell’albero di Natale, l’abitudine del presepio ha le sue radici nella tradizione etrusca e latina, per la precisione nella tradizione che voleva che i bambini di casa in prossimità della festa Sigillaria (il 20 dicembre!) lucidassero le statue dei lari che rappresentavano i defunti, per disporle in un piccolo recinto nel quale si costruiva un ambiente bucolico in miniatura. Come in molti altri casi, i cristiani tramutarono feste già esistenti nelle feste della nuova religione, mantenendo talvolta le date o i nomi ma mutandone il significato. La tradizione tutta italiana del presepio risale come detto all’intervento di S. Francesco, venne legittimata dal Concilio di Trento per la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice, e proseguì nei secoli trovando nelle famiglie nobili un terreno fertile perché le statuine erano in grado di fornire un argomento in più per mostrare la ricchezza e l’opulenza del casato.
La metafora del Trentino come ponte tra mondo germanico e italiano è certo nota e forse addirittura abusata, ma le tracce dei due mondi affiorano nei dialetti e nella cultura materiale della popolazione locale soprattutto fino alla Grande Guerra. La tradizione del presepio era sicuramente presente anche prima di questo terribile evento separatore, sebbene solo in poche chiese si costruisse l’intera scena della natività e di solito si preferisse porre soltanto la mangiatoia con la statua del piccolo Gesù bambino a grandezza naturale. Il documento del 1900 conservato nell’archivio comunale di Trento sembra lasciare intendere che la presenza di tradizione dell’albero in quell’anno non fosse nuova né limitata a pochi casi.
Si tratta di un’indagine solo indiziaria ma già capace di aprire dei coni di luce su questo tema.
In primo luogo gli attori di questa lettera sono esponenti istituzionali di primo piano e il loro interessamento fa sospettare che il fenomeno della vendita degli alberi per essere decorati avesse una certa importanza e diffusione, e di conseguenza rispondesse ad un bisogno altrettanto presente nella popolazione. Il Consigliere aulico chiede al magistrato civico di Trento di intervenire per far osservare la legge e “incaricare le guardie municipali ad invigilare entro il raggio della città sull’esatta osservanza delle disposizioni […] e di passare alla confisca degli “Alberi di Natale” non muniti della prescritta licenza e del marchio del martello d’ufficio, nonché denunciare i contravventori a quest’ordin”. La preoccupazione dell’autorità, prosegue la lettera, ha addirittura motivazioni “di precauzione forestale”, un’indicazione che aggiunge peso all’ipotesi che il fenomeno fosse molto diffuso, tanto da far temere per la sicurezza dei boschi, e abbastanza significativo da richiedere la collaborazione dell’ispezione forestale del capoluogo, di Pergine e di Mezzolombardo.
La esplicita citazione di questi tre comuni va rimarcata perché in tutti e tre per motivi diversi vi era una peculiare presenza di una comunità di lingua tedesca che forse poteva alimentare la richiesta degli alberi di Natale, alterando il bisogno per così dire ‘normale’ della popolazione trentina italianofona.
L’appiattimento operato dal fascismo, che tentò di omologare l’intero Paese imponendo celebrazioni ovunque uguali e ‘italianissime’, rende difficile ora recuperare la presenza in Trentino di un’abitudine nordica come quella dell’albero di Natale, che avrebbe disturbato la narrazione dell’italianità perfetta e totale della popolazione (che per il regime significava anche adesione incondizionata al fascismo) e dunque era una simbologia che andava rimossa. Non si può escludere dunque che nel tentativo di conquistare politicamente e culturalmente anche l’ultima delle regioni annesse al Regno d’Italia, rientri anche la diffusione del latino presepio a scapito del tedesco albero natalizio.
A un fenomeno di questo tipo sembra alludere nel 1934 una frase pubblicata sulla Stampa di Torino a proposito delle abitudini natalizie delle valli del Tesino, quando si sottolinea che “il Fascismo ha pure ridato vita ad una antica tradizione italica, quella del Presepio, che in molte località della nostra regione ha ormai sostituito l’usanza nordica dell’albero di Natale”: se in quegli anni si era verificata la “sostituzione” di una abitudine vecchia con una nuova, significa che l’albero di Natale era almeno fino a quel momento molto più presente nella popolazione del presepio, e che la sua successiva diffusione della rappresentazione della natività era stata in qualche modo indotta artificialmente.
(Aggiornato al 20 dicembre 2023)