Il vocabolario della risata

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Comicità, ironia, sarcasmo, umorismo, parodia, satira. Ci sono moltissime parole con cui si indicano i diversi modi con cui si fa ridere o sorridere. E già tra questo “ridere” o “sorridere” si apre uno spartiacque. Da una parte c’è la risata, quella “grassa”, quella con “le lacrime agli occhi”, quella “da sbellicarsi”. Dall’altra c’è il sorriso che può essere “tirato”, “accennato”, “sornione”. 

A queste diverse reazioni anche fisiche nell’uditore, spettatore o lettore corrispondono diversi stili da parte di chi confeziona il messaggio.

Stili così distinti e diversi da essere oggetto da secoli di una riflessione che ha dato forma a veri e propri generi. 

Il più facile da inquadrare è il comico: è lo stile che punta alla risata, è dal punto di vista della sua etimologia “il linguaggio della festa” e infatti, la commedia come genere teatrale prevede un lieto fine.

Luigi Pirandello in un suo noto saggio intitolato Umorismo (Lanciano, Carabba, 1908) ha definito il comico come “l’avvertimento del contrario”. L’esempio che fa è quello di una signora che si imbelletta e si acconcia in un modo che la fa apparire molto più giovane della sua età. Vedere una persona che cerca di apparire “il contrario di quello che è” ci può far ridere, così, senza troppo rifletterci sopra.

Ma se questo “contrario” ingenera in noi una riflessione, tanto da diventare non un semplice “avvertimento” piuttosto un “sentimento del contrario” ecco che allora entriamo nel campo dell’umorismo. 

Il saggio prosegue poi con un’analisi della natura umana. Secondo Pirandello gli esseri umani si percepiscono – o meglio vogliono percepirsi – come caratterizzati da un’identità stabile e invece ognuno di noi è caratterizzato da “sé” multipli che per altro cambiano continuamente nel tempo. Il concetto è quello riassunto dalla nota espressione “uno, nessuno, centomila”. 

La consapevolezza di questa contraddizione insita in noi dovrebbe ingenerare in un attento osservatore un “sentimento del contrario” che per lo scrittore è la definizione stessa di Umorismo. 

L’Umorismo è quindi il punto di vista corretto per osservare la natura umana, perché quello che si avvicina di più alla sua intrinseca contradditorietà.

L’umorismo si avvale di diversi linguaggi, che comunque possono servire anche alla comicità. Ciò che cambia è il fine ultimo: la risata un po’ fine a se stessa, o la riflessione.

Tra gli stili che sostanziano l’umorismo c’è innazitutto l’ironia, cioè la dissimulazione del proprio pensiero con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire ma con tono che lascia intendere il proprio vero sentimento: la distanza tra parola e tono, tra parola e significato sotteso, è ciò che innesca il sorriso e la riflessione 

La parodia è invece il travestimento burlesco di un’opera d’arte, con modi e stili che ne modificano il senso pur mantenendo la riconoscibilità dell’originale.

Per capire il significato della parola sarcasmo ci aiuta l’etimologia: questo termine deriva da un verbo del greco antico che significa “dilaniare la carne”, “mordere”. Ecco allora che il sarcasmo è un’ironia amara e pungente, non bonaria, bensì tesa a ferire il destinatario ultimo della parola. 

La satira infine ha un significato molto ampio, è a tutti gli effetti un genere e comprende opere che evidenziano e mettono in ridicolo passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di un individuo o di una categoria, con intenti etici o morali.

Ma allora esiste un genere o uno stile teso a provocare un sorriso o una risata e contemporaneamente adatto a comunicare la storia, anche nelle sue pagine più tragiche o buie?

Purtroppo non c’è una risposta univoca a questa domanda. Da parte sua Pirandello descriveva l’umorismo come lo sguardo più adatto per comprendere o meglio per “sentire” la natura umana. E la storia è fatta di uomini e donne che nel loro insieme a volte compiono cose grandiose, altre nefaste.

Quindi forse l’umorismo – fatto di riflessione, di vicinanza con l’oggetto del proprio racconto – e non la comicità è il linguaggio davvero adatto a narrare la storia. Quello in grado di destare attenzione e strappare un sorriso, sebbene spesso amaro, anche quando si affrontano temi ed episodi per loro natura tragici. 

Senza dimenticare che colui o colei che opera la distinzione finale tra ciò che è comico e ciò che è umoristico non è chi parla, ma chi ascolta. Colui o colei che può “sentire” il contrario, rifletterci su, farlo proprio, o semplicemente “avvertirlo” e con un’alzata di spalle passare oltre. 

 (Aggiornato al 22 febbraio 2024)