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La guerra di Enrico

Nell’autunno 2014, all’inizio del centenario della prima guerra mondiale, ho provato a raccontare il conflitto che ha sconvolto l’Europa a dieci classi delle scuole primarie di Trento, attraverso un progetto, diventato un piccolo format televisivo intitolato La guerra, i grandi e noi.

In Trentino, ancora oggi, la memoria del primo conflitto mondiale è molto radicata: la guerra ha modificato il territorio, ha coinvolto la totalità della popolazione e al suo termine ha sancito il passaggio dall’Impero austroungarico al Regno d’Italia. Una guerra del passato, proposta alle ragazzine e ai ragazzini attraverso una storia, quella di un loro coetaneo: Enrico.

Era tanto brutta la nostra casa, e anche l’Androna, ma me ne accorsi solo quando fui grande. La mamma poveretta, aveva tanto da fare dietro di noi, ogni tanto arrivava un nuovo fratellino a farci compagnia.

La famiglia Pedrotti in un’immagine scattata prima della guerra

Enrico Pedrotti nasce nel 1905 a Trento, nel quartiere delle Androne. È il primo di quattro fratelli, i famosi “fratelli Pedrotti”, che, in età adulta, si dedicheranno alla fotografia; appassionati di alpinismo e di musica, fonderanno il coro della SAT, la Società degli alpinisti tridentini.

Enrico nel 1949 scrive una propria memoria autobiografica, intitolata I bambini delle Androne, un dattiloscritto conservato in copia nell’Archivio della scrittura popolare della Fondazione Museo storico del Trentino, pubblicato dalla Società degli alpinisti tridentini all’inizio degli anni 2000.

Enrico Pedrotti scrive a macchina i racconti della sua infanzia per i figli. Sono i ricordi della guerra visti con gli occhi di un ragazzino. Il conflitto è sullo sfondo, nelle voci che arrivano, nelle preoccupazioni dei genitori, nei rumori dei bombardamenti in lontananza. La guerra è presente ma non si vede mai.

Una sera abbiamo sentito i cannoni, veniva il vento dalla valle dell’Adige. Le donne avevano paura, piangevano e pregavano. Dicevano che bisognava andar via tutti da Trento perché era “città di fortezza” e venivano gli aeroplani a bombardare. Non avevamo mai visto gli aeroplani che ci piacevano tanto.

Nella primavera del 1915, dopo l’ingresso in guerra dell’Italia, Trento viene evacuata. La città, posta nelle retrovie del fronte, si riempie di soldati.

Il percorso fatto con le classi primarie è incentrato sulla storia di Enrico, ma cerca di raccontare il contesto di quello che stava accadendo, attraverso visite alla città, a un forte e a trincee e fortificazioni sulle montagne di Trento.

Alle classi è consegnata una selezione del testo I bambini delle Androne, diviso in dieci capitoli. A ogni classe viene affidato uno dei capitoli per il programma televisivo. Durante le giornate di visita si svolgono anche le riprese, in cui le studentesse e gli studenti si alternano nella lettura del racconto.

Riprese del programma tra le fortificazioni sopra Trento

Tutti i grandi piangevano, non so perché. Noi eravamo contenti di andare in treno lontano lontano. Eravamo stati solo fino a Pergine col treno, e arriva troppo in fretta.
Alla stazione c’era tanta confusione e non si capiva niente. Noi avevamo poca roba perché non potevamo prenderne di più.

Enrico e la famiglia partono da Trento alla fine del maggio del 1915 e vengono condotti all’interno dell’Impero austroungarico, in Boemia, lontano dalla guerra. Qui inizialmente sono ospitati in un piccolo paesino, ma poi si spostano in una cittadina, dove si riuniscono ad altre famiglie trentine.

L’attività svolta con le scuole permette agli insegnanti di approfondire, fare collegamenti e lavorare sulla storia di Enrico: qualcuno legge tutta l’autobiografia, altri legano la vicenda dei profughi all’attualità per affrontare l’argomento delle persone che scappano dalle guerre.

La casetta che ci avevano dato assomigliava a quella di Lota. Una stanza e una cucina vicina. Non c’erano i letti nemmeno qui, la solita paglia e ci mettemmo sopra le coperte. La città era bella con tante botteghe, ma non così grande come Trento. Non pareva che ci fosse la guerra e non si vedevano soldati.

Le giornate dei fratelli Pedrotti sono all’insegna della scoperta e dei giochi. Ma un incidente capitato a Enrico costringe la famiglia a spostarsi nel campo profughi di Mitterndorf, vicino a Vienna, per poter curare il figlio nell’ospedale del campo. Qui le condizioni di vita sono difficili.

Profughi trentini a Mitterndorf, archivio fotografico FMST

Come altri profughi, nella primavera del 1918 i Pedrotti hanno il permesso di rientrare a Trento, visto che la città rimane distante dal fronte.

La notte si sentiva sempre il cannone, lontano, giù verso Rovereto, e si vedevano i lampi delle granate, e continuavano a sparare, sempre.
C’era poco da mangiare anche a Trento e la gente si lamentava, ma a noi ci sembrava di stare benissimo dopo le baracche.

Piazza Duomo a Trento durante la guerra, archivio fotografico FMST

Enrico quindi vive e racconta la città negli ultimi mesi di guerra, con la popolazione sempre più stremata dalla mancanza di cibo, e assiste alla ritirata dei soldati che abbandonano Trento.

Alla fine d’ottobre del 1918 incominciò il “rebaltòn”. I soldati tedeschi scappavano e non guardavano più niente, nemmeno i prigionieri russi che andavano dove volevano e c’era una confusione che non avevo mai vista.

In quei giorni di confusione i bambini recuperano oggetti e divise per poter giocare. Enrico prova a portarsi a casa anche un cavallo, abbandonato nella piazzetta vicina. Il 3 novembre gli italiani entrano in città, è la fine della guerra.

Per molti giorni è stato come un bel sogno e non ho mai più visto gente così felice come allora. Non sparavano più e la sirena stava zitta, e levavano anche tutte quelle pezze nere dalle lampade, e pareva più bella la città ora!

La dedica per i figli all’inzio dello scritto di Enrico Pedrotti, Archivio della Scrittura popolare, FMST

La memoria autobiografica di Enrico Pedrotti prosegue con una parte finale in cui l’autore però indica ai figli: “da leggere quando sarete più grandi”. Sono poche pagine dedicate al conflitto successivo, alla partecipazione alla Resistenza, alla sua cattura da parte dei tedeschi nel dicembre 1944 e all’internamento nel lager di Bolzano. Una vicenda drammatica vissuta da adulto, dove manca lo sguardo del bambino, innocente e curioso, che caratterizza invece il racconto della prima guerra mondiale.

(Aggiornato al 14 settembre 2022)