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Ma dove finiscono le letterine?

Il 3 gennaio 1863 gli Stati Uniti sono nel pieno della guerra di secessione e sulla prima pagina della popolare rivista Harper’s Weekly campeggia un’illustrazione propagandistica destinata a cambiare la storia del Natale. Thomas Nast, illustratore di origine tedesca considerato anche il padre del fumetto politico moderno, ritrae un Santa Claus con un cappello di lana e un vestito che richiama la bandiera degli Stati Uniti, intento a distribuire lettere e regali ai soldati. Scorrendo le trentatré tavole firmate da Nast fino al 1886, disponibili su Internet Archive (Harper’s Weekly archives (upenn.edu)), possiamo vedere come abbiano contribuito non solo a costruire l’immagine del “nostro” Babbo Natale ma anche a consolidare tradizioni e riti, come quello di inviare richieste di doni alla sua abitazione al Polo Nord. 

La prima immagine del “nostro” Santa Claus, disegnato da Thomas Nast © Harper’s Weekly

Se all’inizio infatti era Santa Claus a scrivere a bambini e bambine raccomandando loro di comportarsi bene o promuovendo qualche giocattolo natalizio, presto le parti si sono invertite: in Messico le missive partono attaccate a palloni ad elio, in Canada esiste addirittura un codice postale speciale (H0H 0H0), ma la prima fonte della corrispondenza verso Babbo Natale è la stampa: molti newspaper, dal Columbia Herald al The New York Times, nei giorni precedenti al Natale pubblicavano richieste di bambole, trenini, petardi o semplicemente “qualcosa di carino, visto che lo scorso Natale non sei nemmeno passato”.

Le lettere ci raccontano non solo i desideri materiali dell’infanzia – e quindi come sia cambiato il rapporto con il gioco e con il consumo – ma anche le speranze e i sogni in cui si specchiano esperienze quotidiane, valori di un’epoca, e perfino la situazione politico-culturale di un Paese. Chissà cosa potrebbe raccontarci il lotto (ora parte delle collezioni speciali della University of Southern California: WITN-TV letters to Santa Claus (cdlib.org)) di quasi ottocento lettere, molte delle quali rimaste chiuse, inviate nel 1964, in pieno coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in Vietnam, all’emittente NBC di Wilmington, in Carolina del Nord, dove molte famiglie nelle basi militari vivevano momenti di grande incertezza.

Un modo efficace per descrivere i propri desideri © The National Archives of Finland

Ma è a Rovaniemi, capitale della Lapponia, che oggi si concentra il traffico più intenso di letterine: nel periodo pre-natalizio si arriva a trentamila al giorno! E pare che l’Italia sia il secondo Paese per numero di spedizioni dietro alla Polonia. Ma dove finiscono? La maggior parte vengono smaltite, ma una pila alta 30-40 centimetri viene conservata da quasi trent’anni presso il National Archives of Finland, in Oulu. Qui si trovano richieste di regali (spesso ritagliati e incollati dalle pubblicità), piccole confessioni (come Hannah che ama spruzzare il padre d’acqua) e buffe speranze (“vado a Tenerife per Natale e mi piacerebbe che venissi anche tu”), ma anche una condivisione di grandi sogni (“ps = puoi rendere il mondo un posto migliore?”).

A questa raccolta si affiancano diverse altre collezioni nazionali, spesso legate alla buona volontà di qualche archivista. Come Karl Kronig del Museo della Comunicazione di Berna che da più di vent’anni ha archiviato oltre quindicimila lettere: ancora si stupisce di come, nonostante l’avvento della tecnologia e della messaggistica istantanea, si continuino a usare carta e penna per le liste dei desideri natalizi. I francesi conservano i desideri dell’infanzia addirittura dal 1962, quando l’allora ministro delle Poste e telecomunicazioni, Jacques Marette, chiese aiuto alla sorella, la nota psicanalista infantile Françoise Dolto, e decise di creare un servizio centralizzato nell’ufficio di Libourne dove un team dedicato continua a rispondere ogni anno a tutte le missive ricevute. Tocca poi al museo delle Poste di Parigi conservarle e valorizzarle, come nella più recente esposizione temporanea dal titolo “Jouez, Postez” che esplorava il rapporto tra giochi, infanzia e posta fino agli anni settanta del Novecento, includendo naturalmente il nostro rapporto epistolare con Père Noël, per dirlo alla francese.  

La risposta firmata Père Noël spedita a bambini e bambine francesi nel 1962 © La Poste

Anche Poste Italiane, fino allo scorso anno, realizzava il progetto “Postini di Babbo Natale” che prevedeva risposte personalizzate alle lettere arrivate prima del 13 dicembre e anche l’invio di un piccolo regalo. Non è dato sapere però dove siano finite tutte quelle lettere, se qualcuno si sia preso la briga di conservarne almeno un po’ o se sono diventate carta da macero già il giorno di Santo Stefano.

La cosa certa è che gli storici e le storiche di domani avranno a disposizione un corpus ampio e variegato per scrivere una storia sociale di una tradizione antica che profuma ancora di magia. 

Nel caso anche voi aveste voglia di finire negli archivi del futuro, questo è l’indirizzo corretto:

Babbo Natale
Joulupukin Pajakylä – Circolo Polare Artico
96930 Napapiiri
Finlandia

(Aggiornato al 20 dicembre 2023)