Il dono come gesto politico: la Casa Museo Cervi

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Il Museo Cervi nasce come sviluppo della casa abitata dalla famiglia Cervi dagli anni 30 del secolo scorso.

La Casa Museo Cervi

Già nell’immediato dopoguerra è meta di un vero e proprio pellegrinaggio da parte di visitatori, gruppi organizzati, delegazioni istituzionali, associative, di partito. Fino al 1970 è infatti vivo Alcide il padre dei sette fratelli morti per mano dei fascisti il 28 dicembre 1943. Abita la casa in cui la famiglia era arrivata come affittuaria nel 1934; insieme a lui Iolanda, Margherita, Verina, Irnes, le quattro vedove dei quattro fratelli Gelindo, Antenore, Aldo, Agostino che si erano sposati e i loro undici figli. La madre Genoeffa Cocconi era infatti scomparsa neanche un anno dopo la fucilazione dei suoi sette figli maschi.

Sono dunque le donne insieme a Alcide e a suo nipote Massimo a vivere e per certi aspetti anche a subire la ribalta che vede la casa al centro di un processo di trasformazione, praticamente spontaneo, dalla dimensione privata a quella pubblica, con avvio della sua musealizzazione. 

Come fosse un santuario laico, i visitatori riempiono gli spazi di casa Cervi con doni  e omaggi, sorta di laici ex voto che si aggiungono ai documenti dell’attività antifascista e della resistenza dei Cervi, della vita contadina e agli oggetti di vita e di lavoro conservati e allora ancora in uso dalla famiglia. 

Un interno del Museo Cervi

Gli oggetti donati vengono raccolti in una stanza, primo nucleo non organizzato del futuro museo, spazio di incontro e contaminazione fra la famiglia, oramai privata della sua dimensione più intima, e il pubblico. Gli oggetti sono i più svariati, spesso senza qualità intrinseca ma con un grande valore simbolico, perché testimonianza della volontà popolare di sentirsi parte di questa storia e insieme del desiderio che questa vicenda non venisse rimossa ma che ne fosse tramandata la memoria attraverso anche segni concreti, raccolti nella casa dove tutto si era generato. Lo spontaneismo non è privo di connotazione; infatti, come si evince già nelle prime esposizioni prive di criteri o velleità allestitive, spiccano fra le altre le rappresentazioni riferite al Partito comunista: sono oggetti portati da cittadini ma anche da delegazioni del Partito e da delegazioni provenienti dai paesi della sfera sovietica, da Cuba e da altri paesi. Questa particolare pratica e la connotazione dei doni alla famiglia e alla casa dei Cervi contribuiscono ad alimentare la centralità del mito sovietico nell’antifascismo dei Cervi e sono funzionali, più in generale, a costruire una memoria pubblica della Resistenza, nel momento in cui a sinistra ne viene rivendicata la centralità e il carattere fondativo della nuova Repubblica, a fronte dei conflitti sociali e delle tensioni politiche  in Italia e a livello internazionale in seguito alla ‘guerra fredda’. 

Ne sono un esempio i tanti viaggi di Alcide, le sue numerose testimonianze in giro per l’Italia e anche all’estero, molte volte direttamente invitato ma spesso anche condotto grazie alla mediazione soprattutto del PCI locale e nazionale e dell’Anpi.  Giungono anche in questo modo oggetti e donazioni che arricchiscono il patrimonio e che esemplificano come la vicenda dei Cervi sia all’incrocio fra la spinta ideologica dall’alto e l’identificazione delle classi e dei cittadini più umili nella vicenda dei sette contadini fucilati dai fascisti. 

E’ del 1959 il progetto, mai realizzato, di un imponente e monumentale Mausoleo nel podere dei Campi Rossi di Casa Cervi, pensato proprio per risolvere la dura convivenza fra la numerosa famiglia, le visite sempre più invasive, e l’accumularsi degli oggetti, dei doni, che nel frattempo diventavano anche preziosi, arricchendosi di medaglie e opere d’arte. Molti artisti, fra cui Renato Guttuso, hanno infatti contribuito a consolidare il mito della famiglia Cervi dentro la narrazione della resistenza, nell’intreccio fra martirio, avanguardia contadina, antifascismo militante, scelta ideologica. Il processo di formazione della collezione d’arte del Museo di Casa Cervi è del tutto coerente con le modalità di raccolta della raccolta di oggetti: donazione spontanea da parte degli artisti o attraverso la mediazione di gruppi organizzati e mediazione dei soggetti organizzati, associativi, culturali, politici. 

Altrettanto interessanti sono le modalità espositive e i progetti  che si susseguono dal 1975 – anno in cui la Provincia di Reggio Emilia diventa proprietaria della casa e del podere, dopo tre anni dalla costituzione dell’Istituto Alcide Cervi. All’inizio gli oggetti vengono raccolti in una stanza dedicata, senza un progetto. E ovviamente senza alcuna selezione, non necessaria data la coerenza del messaggio ma anche dato il rispetto per la provenienza, di quei doni che sono portati spontaneamente dalle persone che giungono in visita: donne, uomini, bambini, giovani, che vedono nella famiglia Cervi un esempio di sacrificio, ma anche di rettitudine, di coerenza, di giusta causa.

La famiglia Cervi

Bisognerà attendere l’allestimento del 2001, il primo a coinvolgere tutti gli spazi della casa, musealizzandola per intero e impostando un percorso unitario fra la storia contadina e quella partigiana, politica, esistenziale della famiglia Cervi. Gli oggetti sono organizzati e raccontano il percorso della memoria pubblica della Famiglia Cervi e le relazioni con la storia del dopoguerra.   La stessa impostazione è stata seguita anche nel recente riallestimento di alcune sale espositive, che ha riportato una cospicua selezione degli oggetti donati nella sede originaria della prima raccolta, la sala dedicata ad hoc negli anni sessanta. Inevitabile che il mutare del contesto di riferimento abbia nel tempo diminuito la forza evocativa degli oggetti, mentre rimane intatto il dato storico e memoriale, sottolineato nei percorsi di musealizzazione, adesso liberi dalla necessità di consolidare il luogo di memoria e di rimarcare la componente identitaria della vicenda narrata.

Rimane comunque forte, al di là di ogni scelta espositiva, la componente simbolica degli oggetti, dei quali emerge rafforzato oggi il riferimento a valori universali, come la democrazia, la pace, l’uguaglianza. E’ con questo spirito che la pratica del dono di oggetti e manufatti  prosegue ancora oggi, sebbene con frequenza non paragonabile ai decenni dal dopoguerra fino agli anni ’90 del ‘900, e quasi sempre priva dell’enfasi e della carica emotiva che li ha accompagnati in quella stagione.  

Paola Varesi
E’ responsabile del Museo Cervi e delle Attività culturali e teatrali dell’Istituto Cervi. 

(Aggiornato al 26 settembre 2024)