Tu lo conosci Don Minzoni?

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Alle elezioni del 1919, nel collegio Ferrara-Rovigo, i socialisti ottengono più del 70% dei voti, eleggendo sei deputati su otto (Matteotti compreso). Nel 1920, alle amministrative, nel Ferrarese e nel Polesine conquistano tutti i Comuni. Pare fatta: la rivoluzione è alle porte, attesa dai massimalisti parolai e temuta come la peste dagli avversari. Dura poco: tra la fine dell’anno e il 1921 tutte le amministrazioni sono abbattute dalla furia degli squadristi. Gli assassinati, i bastonati o gli umiliati non si contano e a nulla valgono le accuse che Matteotti lancia dal Parlamento.

Anche ad Argenta in provincia di Ferrara la Giunta socialista viene costretta a dimettersi. L’assessore Natale Gaiba si rifiuta e viene crudelmente ucciso nel maggio 1921. Il suo funerale è celebrato da un parroco amatissimo e medaglia d’argento al valor militare, il quale denuncia nell’omelia la matrice fascista dell’omicidio: si chiama don Giovanni Minzoni ed è nato a Ravenna nel 1885. 

Monumento a Don Minzoni ad Argenta

È una sorta di passaggio di consegne. Il sacerdote diviene il riferimento degli antifascisti della zona. Sia prima di diventare cappellano militare, sia soprattutto dopo il congedo, si è infatti conquistato l’apprezzamento di tutti i concittadini. Eppure gli argentani – gente cresciuta tra il ferrarese, il bolognese e l’anticlericale Romagna – con i preti non sono mai andati d’accordo. 

Don Minzoni organizza febbrilmente cooperative tessili e agricole, costruisce un teatro e un campo da calcio, crea una biblioteca circolante, tiene un doposcuola, dà vita a un Ricreatorio e a un circolo culturale: attività aperte a tutti, non solo ai cattolici. È un anticonformista: frequenta il caffè e gioca a carte, fuma di tanto in tanto un sigaro, non indossa il cappello e usa la bicicletta benché vietata ai sacerdoti: deve raggiungere i parrocchiani più lontani, dice. Respinge anche i tentativi fascisti di controllare le sue cooperative, suscitandone le ire.

Nel mentre, il fascismo, giunto al governo e abbattuti i socialisti, soffre non poco. L’economia arranca, i bolscevichi non fanno più paura, gli avversari interni non demordono e il Partito Popolare devia ormai verso l’opposizione. Per vincerne la resistenza, Mussolini e i suoi adottano la solita strategia: botte, assassinii, intimidazioni. Contemporaneamente, si corteggiano le gerarchie vaticane e le frange più conservatrici del partito, che presto confluiranno nel Partito Nazionale Fascista. Nel ferrarese accade lo stesso. Il ras Italo Balbo prescrive “bastonature di stile” per gli avversari e i fascisti d’antan, per nulla convinti di abbracciare la causa degli agrari.

È in questo clima che ad Argenta si verificano altri episodi che fanno di don Minzoni il bersaglio di un odio politico conclamato. Nel luglio 1923, il parroco fonda una sezione degli Esploratori Cattolici (boy scouts): è un enorme successo, mentre i Balilla arrancano. Nel precedente aprile centinaia di giovani confluiscono su Argenta per il convegno dell’Azione cattolica: un’altra sberla. Quando poi ciò che rimane dei Popolari passa all’opposizione, don Minzoni s’iscrive al partito e sottoscrive due abbonamenti a Il Popolo di Giuseppe Donati.

Verso il prete – che rifiuta l’offerta pelosa di diventare cappellano della Milizia – si assiste così a un crescendo di eventi ostili: due tentate aggressioni; lo schiaffo ai danni di un boy scout che provoca notevoli tensioni; le ricorrenti voci di paese secondo le quali era imminente una sua bastonatura; cori di dileggio verso le finestre della parrocchia; gli inutili tentativi di pacificazione stimolati dai Carabinieri. E si potrebbe continuare.

L’agguato era dunque nell’aria e scatta attorno alle 22.30 di giovedì 23 agosto 1923. Mentre si reca al Cinematografo cattolico, don Minzoni viene colpito violentemente alla testa e spira in canonica attorno alla mezzanotte. L’impresa è opera di due giovani sconosciuti già notati passeggiare in piazza muniti di bastoni e fuggire dopo l’aggressione. 

Le indagini scattano subito, seriamente condotte dal fresco Tenente dei Carabinieri, Costantino Borla, e dal Giudice Istruttore Manlio Borrelli, sicché la responsabilità fascista viene immediatamente messa in chiaro. Ci sono anche degli arresti ma sin dall’inizio di settembre crescono le difficoltà: dopo l’iniziale disorientamento, i fascisti sono passati alle minacce. Nella sentenza della Sezione d’Accusa, i giudici ribadiscono pertanto le responsabilità fasciste, denunciando l’omertà dei testimoni ed elencando fatti eclatanti.

Non vi sono quindi prove sufficienti per un rinvio a giudizio ma si suggerisce di stare all’erta.

È quanto accade un anno dopo. Un dettagliato Memoriale dell’ex braccio destro di Italo Balbo, Tomaso Beltrani, una serie di lettere anonime ricevute da Giuseppe Donati, informazioni raccolte sul campo dai Carabinieri delle zone interessate, consentono di tracciare l’esatta dinamica dei fatti, individuando organizzatori e responsabili. Scattano gli arresti: Balbo però non viene coinvolto, in attesa di riscontri che, però, mai si ottengono.

Il processo si svolge in un clima arroventato: le camicie nere circondano il tribunale, i giurati e i testimoni vengono minacciati, Balbo presenzia a talune udienze ostentando solidarietà agli imputati. Non sorprende che gli imputati vengono assolti. 

Nel dopoguerra si dichiarò la giuridica inesistenza della sentenza del 1925. Si accertò la responsabilità dei pochi imputati superstiti, ma si applicò nei loro confronti l’amnistia Togliatti. Il delitto rimase impunito e don Minzoni lentamente uscì dalla memoria nazionale. Forse pagò il suo essere un ex Popolare o di vestire l’abito sacerdotale: una figura, insomma, poco “alla moda”. In realtà il suo esempio è ancora attualissimo: ci ricorda che c’è sempre qualcuno che non china il capo davanti ai prepotenti e alle sopraffazioni. Se tutti fossero così non ci sarebbe spazio per sedicenti “democrazie illiberali” o per altre aberrazioni di tal genere.

Paolo Veronesi
Insegna Diritto costituzionale all’Università di Ferrara. Coltiva anche interessi che intrecciano la storia e il diritto. Ha scritto saggi su Giacomo Matteotti e sulla controversa questione dei risarcimenti per i crimini commessi dai nazisti sul territorio italiano o a danno di italiani. L’affaire don Minzoni (FrancoAngeli 2024, con Andrea Baravelli) è il suo ultimo libro.

(Aggiornato al 5 novembre 2024)