Il Gufo gioca a Tombola

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I partigiani sono un esercito senza divisa. Ma anche loro hanno bisogno di simboli in cui identificarsi e con cui riconoscersi. E per dei combattenti italiani, come mostrano gli alpini o i bersaglieri, il copricapo è particolarmente importante.

Per questo entrando nel Museo più piccolo del mondo di Albinea, in provincia di Reggio Emilia, balza subito all’occhio un basco rosso con sopra un gufo nero su sfondo giallo. Un appassionato riconosce subito che si tratta di un berretto delle Sas, le squadre speciali inglesi, con il simbolo del tritone e il motto “Who dares wins”. Ma quel gufo ci racconta che, in questo caso, si tratta di una squadra: una squadra molto speciale. Il basco, insieme con altri materiali, apparteneva infatti a Battista Bortesi ed è stato donato al Museo dal collezionista Fabrizio Panciroli, che da lui lo aveva ricevuto prima della sua scomparsa nel 2006.

Fabrizio Panciroli con il basco e la giacca di Battista Bortesi

Bortesi, classe 1922, era di Cavriago, un piccolo centro a 10 chilometri a sudovest da Reggio, culla della produzione del Parmigiano Reggiano, ma anche del socialismo. Orfano di padre dal 1936, svolge la professione di panettiere, nel forno di Codemondo; poi diventa apprendista alle Officine Reggiane dove entra in contatto con l’antifascismo clandestino. Nel 1941 viene richiamato alle armi e l’anno dopo è mandato in Russia, dove sperimenta le carenze dell’esercito fascista. Rientrato in Italia, l’8 settembre 1943 si trova a Firenze. Lui e il suo compaesano Vasco Sassi “Flobert”, un anno più giovane, si uniscono ai partigiani alla fine della primavera 1944 dopo essersi sottratti alla leva di Salò. Dalle vie di latitanza sull’Enza salgono in montagna e vengono aggregati alla 26a Brigata Garibaldi, Distaccamento Beucci, di stanza a Villa Minozzo. Bortesi sceglie come nome di battaglia “Brickman”, il protagonista di un film americano. La situazione è difficile, dopo i pesanti rastrellamenti estivi. Ma a ridar fiducia ai partigiani è l’arrivo degli Alleati, più specificamente degli inglesi.

Il Soe, il servizio segreto militare britannico, si propone di sostenere in tutta Europa le resistenze ai tedeschi, attraverso l’invio di agenti speciali che stabiliscono contatti sul terreno e coordinano l’invio di aviolanci in cambio di informazioni e azioni di sabotaggio. Fin dall’estate 1944 gli inglesi sono presenti anche sull’Appennino tra Reggio e Modena. Nel gennaio 1945, nella prospettiva della ripresa delle operazioni in primavera, viene inviata una nuova missione, la Envelope, guidata dal capitano Michael Lees. Lees entra rapidamente in contatto con i partigiani, anche grazie alla mediazione di don Domenico Orlandini, singolare figura di sacerdote locale, già addestrato dagli inglesi e protagonista di rocambolesche missioni di salvataggio di ex prigionieri alleati sull’Adriatico. Rientrato sulle sue montagne, Carlo, questo il suo nome di battaglia, guida le Fiamme Verdi, un gruppo di partigiani che interpretano la Resistenza in chiave apolitica. Anche per questo, si intende subito con Lees, che è invece assai guardingo con i partigiani comunisti che controllano la zona e critica l’atteggiamento disinvolto delle missioni americane dell’Oss, pure presenti sul territorio. 

Ma man mano che la lotta prosegue le esigenze militari e il cameratismo prevalgono; e il clima si fa più disteso. Lees decide allora di reclutare tra i “ribelli” un gruppo scelto che risponda direttamente al suo comando. Nasce così la squadra speciale Gufo Nero, comandata dal partigiano azionista Glauco Monducci “Gordon”. Ne fanno parte una ventina di uomini, tra i quali anche due ebrei: Gino Beer e Bruno Gimpel (che ha solo 17 anni).  Sono equipaggiati e addestrati dagli inglesi. All’inizio di marzo viene paracadutato in zona anche il maggiore Roy Farran, alias Patrick Mc Ginty, nato in India da genitori irlandesi, già impegnato in Africa e in Francia. E’ a capo del III battaglione della II Sas, che comprende una quarantina di soldati britannici ma anche sudafricani, greci e polacchi; e anche tre spagnoli, reclutati sotto falso nome attraverso la legione straniera. Viene lanciato con loro anche un obice da 75, che gli italiani battezzano presto “molto stanco”.

Nonostante i superiori lo dissuadano, Farran vuole compiere un’azione eclatante e per farlo ha bisogno di mettere insieme un contingente adatto. E così, tramite Lees, contatta la squadra Gufo Nero e chiede ai comandi partigiani altre reclute, che vanno a formare la Compagnia italiana. Al gruppo si aggrega anche un distaccamento di circa quaranta partigiani russi, ex prigionieri dei tedeschi, al comando di Victor Pirogov “Modena”, già membro della banda Cervi. Questa composita formazione prende il nome di Battaglione Alleato, piccolo microcosmo che mostra la composizione internazionale della Resistenza e la natura sovranazionale della lotta ai fascismi nell’Europa in guerra.

Il 27 marzo 1945, nell’ambito dell’Operazione Tombola, il Battaglione Alleato attacca il comando tedesco di Albinea, riuscendo a debellarlo, nonostante la perdita di tre soldati (ancora ricordati su una lapide posta sulla villa) e il ferimento di Monducci e Lees. Grazie al suono della cornamusa del “suonatore matto” David Kirckpatrick, che precede gli assalitori suonando God save the Queen, l’operazione verrà rubricata dai tedeschi come attacco militare nemico e non come azione partigiana, salvando la popolazione locale dalle rappresaglie.

Il comando tedesco si trova in effetti a Villa Calvi, nella frazione di Botteghe; e proprio lì nell’estate precedente cinque soldati tedeschi, guidati dal maresciallo Hans Schmidt, avevano tramato con i partigiani per disertare, passando informazioni e materiale prezioso alla Resistenza locale. Scoperti, erano stati fucilati. Ma nell’attacco del 1945 ci sono a vendicarli altri due disertori: il tedesco Georg Reinert, salito in montagna per amore della staffetta reggiana che diverrà sua moglie; e l’austriaco Hans Amoser, avventuriero dalle mille cicatrici, su cui pende una condanna a morte per reati comuni. La loro presenza dimostra come sia sempre necessario distinguere tra nazisti e tedeschi; e ci ricorda che oltre mille soldati della Wehrmacht, rischiando moltissimo, scelgono di passare con la Resistenza per motivi politici o personali, ma comunque stanchi della guerra di Hitler.

Dopo Botteghe il Battaglione Alleato continua a combattere fino alla liberazione della bassa Modenese, perdendo altri uomini e i partigiani della Gufo Nero si guadagnano il rispetto degli Alleati. Tra loro anche tante ragazze impiegate come staffette, tra le quali l’ultima ad andarsene è stata Giovanna Quadreri “Libertà”, allora sedicenne e nel dopoguerra inesausta memoria della Resistenza reggiana; al funerale nel 2022 sulla sua bara era stesa la bandiera della Gufo Nero. Bortesi rientra a Cavriago dopo la guerra; ma poi si trasferisce a Roma per studiare. Tornerà solo nel 1960, facendo l’antiquario fino al 1975. Ma non perderà mai la sete di avventura e conserverà sempre con orgoglio il basco della Gufo Nero. Quel simbolo ci ricorda che partigiani e Alleati, pur perseguendo obiettivi diversi e con non pochi attriti, riuscirono a collaborare, con coraggio e pazienza, per sconfiggere i nazisti e liberare l’Italia.

Dedicato a Matteo Incerti, grazie a Corrado Ferrari.

Mirco Carrattieri
È coordinatore del Comitato scientifico di Liberation Route Italia. È stato presidente di ISTORECO, direttore del Museo della Repubblica di Montefiorino e dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Si occupa di storia della Storiografia, storia della Resistenza e Public History.

(Aggiornato al 26 settembre 2024)