Negli Stati Uniti lo definiscono Christmas Creep. Consiste nel prolungare, anticipare, allungare il periodo di vendita dei prodotti di Natale: per spingere la macchina del profitto fin dove si può. Non si fa quasi in tempo a metter via infradito, creme solari e costumi da bagno che sugli scaffali dei negozi iniziano a comparire pandori e panettoni, le prime merci di Natale, mentre commercianti e vetrinisti hanno un gran daffare ad allestire punti vendita e grandi magazzini. È il business di Natale, bellezza. È il trimestre d’oro della “nuova religione” capitalistica, che inizia a ottobre e finisce a dicembre, toccando – senza distinzioni di sorta – anche il nostro Paese. Perché lo sappiamo: ormai da decenni, il Natale, con le sue luci, i regali, le canzoncine e i Babbi Natale, ha subito una mutazione genetica, diventando festa pagana. Ma solo di recente la fascinazione americana è diventata sfacciata: con Halloween e il Black Friday, la liturgia consumistica ha dilatato ancora di più il suo tempo.

Il tempo sacro che si mescola con il tempo profano. Il secondo che ha messo a reddito il primo. E genera fatturato (e che fatturato!). In tre step: la festa dei santi e dei morti con Halloween; la festa religiosa del Ringraziamento (che si celebra negli Usa il quarto giovedì di novembre) con il Black Friday, e il Natale con tutto ciò che comporta in termini di profitto e di giro d’affari.
È la triplice liturgia del consumo, che comincia il 1° novembre (ma i cui riti e simboli iniziano fino a un mese prima) e si conclude il 24 dicembre.
Di più: è l’economia del Natale, che tocca vari aspetti e diverse sfaccettature, differenti modi di guardare allo stesso fenomeno, con tutte le contraddizioni del caso.
C’è, in primo luogo, il punto di vista del marketing, che ha plasmato il moderno storytelling del Natale, entrando prepotentemente nell’immaginario collettivo, prendendo “per mano” le famiglie consumatrici, accompagnandole all’appuntamento del 25 dicembre con preziosi consigli per gli acquisti. Perché, a Natale puoi, recita uno dei brani natalizi più ascoltati, che accompagna la pubblicità della Bauli. Ma chi può acquistare – veramente – in un contesto d’inflazione, di alti tassi d’interesse e di perdita di potere d’acquisto? Ma tant’è. C’è la tredicesima (per chi ancora la percepisce) che alimenta il business e c’è il rassicurante Babbo Natale che infonde fiducia: protagonista delle campagne marketing della Coca Cola fin dagli anni trenta del Novecento, il paffuto nonno con barba, cappello rosso e pon pon bianco, è diventato icona del marketing pubblicitario del Natale. E con una certa efficacia, vista la penetrazione scenografica della sua figura, capace di creare un’atmosfera favorevole e magica.

E qui si arriva ai numeri del Natale. Non sappiamo quanto le famiglie italiane spenderanno quest’anno per i regali. Ma già nel lungo weekend del Black Friday, 4 italiani su 10 hanno approfittato dello shopping super scontato, anticipando di un mese gli acquisti natalizi. È quanto si ricava da un’indagine Coldiretti/Ixè, che offre ulteriori dettagli. La corsa agli sconti ha portato 1 italiano su 2 a scegliere le piattaforme online. Mentre tra i beni più richiesti vi sono elettronica e abbigliamento, seguiti dai prodotti per la bellezza e la cura. In tutto si sono spesi 5,3 miliardi di euro, oltre il 15% in più sul 2022: in media 169 euro a testa, ma c’è anche un 5% che ha speso sino a 1.000 euro.
Sono cifre importanti, che inducono l’economista mainstream a fare ragionamenti sull’importanza di questo periodo dalle spese spumeggianti. Crescono le vendite e aumenta il Pil: una cura per l’economia e per il debito pubblico. D’altra parte, l’economia del Natale domanda anche lavoro. Le professioni più richieste sono: addetti alle vendite, rider, magazzinieri, autisti, promoter, impacchettatori di regali, animatori per centri commerciali. E poco importa se l’economista eterodosso precisa, e puntualizza, che si tratta di lavori temporanei e perciò precari; per definizione. Perché il business di Natale deve tirare dritto: tanto sono già state inventate le App che consentono di sbarazzarsi dei regali inutili ricevuti dalla zia e dalla suocera,C’è chi però rifiuta questa soluzione e la anticipa: pensa all’opzione “niente regali a Natale”. Per scelta. Una situazione, questa, che è però molto diversa da chi l’ipotesi “senza Regali” la pratica; ma per necessità. Per povertà.

Le statistiche vanno così intrecciate e lette in controluce. In modo critico. Perché l’economista attento guarda sì alla crescita, ma anche a come questa si distribuisce. Ricordando una cosa: come ogni religione festeggia le proprie feste di precetto, anche il culto consumista è portato a festeggiare le proprie (feste di precetto), che piacciono al popolo-consumatore e piacciono ai cerimonieri-commercianti e al loro giro d’affari (d’oro).
C’è però chi festeggia bellamente, e chi è costretto a una condizione di povertà. Sono oltre 5,5 milioni i poveri assoluti in Italia, denuncia il Rapporto Caritas 2023 su Povertà ed esclusione sociale. Fanno 352 mila poveri in più rispetto al 2021. Si tratta spesso di working poor, cioè di persone che un lavoro ce l’hanno, ma il cui reddito non basta per mantenere una famiglia.

Anche questo è il tempo di Natale: un tempo non ordinario ma straordinario; dove le disparità si fanno, se possibile, più acute. Il problema è che questo senso di giustizia offesa non è percepito. E il solco, tra chi ha e chi non ha, si fa sempre più profondo.
È la povertà nell’abbondanza. Non un paradosso: lo si capisce. Ma una condizione insopportabile per un Paese a maggioranza cattolica (che dovrebbe festeggiare in un certo modo il Natale); ma intollerabile, anche e soprattutto, per un Paese che vanta una Costituzione alta e qualificante come la nostra.
(Aggiornato al 20 dicembre 2023)