Tutti pazzi per Napoleone

4 min

A oltre due secoli di distanza dalla morte di Napoleone, l’onda lunga del suo mito è ancora viva nel culto e nella passione – per alcuni una magnifica ossessione – dei collezionisti che su scala globale continuano la caccia a memorabilia e a vere e proprie reliquie legate a quello che resta il political drama più avvincente della contemporaneità. Nel corso del 2021, i cataloghi e gli esiti delle grandi aste del bicentenario hanno confermato la longevità dell’appeal emotivo, e il corrispondente interesse economico, di oggetti appartenuti o legati alla vicenda umana e politica del generale-imperatore, con una particolare enfasi sui reperti attribuiti agli anni trascorsi a Sant’Elena: una prigionia/martirio capace di rovesciare la leggenda nera del Grande Corso e di renderlo mediaticamente ineludibile persino per i suoi più acerrimi nemici, gli inglesi.

Dagli “oggetti sediziosi” usati e indossati da fedelissimi veterani e da nostalgici bonapartisti nell’Europa della Restaurazione – tabacchiere, pipe, bottoni, miniature, aquile e violette allusive alla stagione del potere o ai Cento Giorni, custoditi ed esibiti come codici di comunicazione e di riconoscimento politico clandestino – l’interesse per la memoria tangibile del fenomeno napoleonico è proseguito accomunando diverse personalità e generazioni, ognuna capace di entrare in relazione con il mito a modo proprio. Così, se Paolina Bonaparte, affranta dalla notizia della morte del fratello, chiedeva di avere di lui solo una tabacchiera, quella più amata, i compagni d’esilio a Sant’Elena avrebbero veicolato e certificato negli anni numerosi oggetti, anche indumenti usati nei giorni estremi, mentre l’ultimo medico di Napoleone, Francesco Antommarchi, negli anni Trenta dell’Ottocento avrebbe tentato di capitalizzare la reliquia da contatto per eccellenza, la maschera mortuaria realizzata dopo l’autopsia. Oggi, grazie alle peripezie del medico, ne esistono persino esemplari in musei a New Orleans e a La Havana. 

La riesumazione del corpo nel 1840 e il suo ritorno a Parigi fu occasione per un’ondata di “merchandising” a tema che mobilitò l’ormai viva produzione in serie di oggetti evocativi, ma è sui pezzi unici che il collezionismo napoleonico, ormai deideologizzato, è fiorito a cavallo dei due secoli anche oltreoceano, negli Stati Uniti, conquistando l’attenzione e le finanze di facoltosi tycoon sensibili al fascino di un’epica individuale e collettiva al contempo. Non deve perciò stupire se oggetti molto particolari, come ad esempio calze di seta o la sedia da infermo appositamente costruita da un artigiano cinese di Sant’Elena, sono riemersi nei cataloghi di aste americane di fine Novecento. Tra i cacciatori di reliquie e autografi napoleonici nel primo dopoguerra troviamo anche l’ex viceré dell’India, poi ministro degli Esteri britannico, Lord Curzon, che con la consulenza di uno studioso acquistò oggetti e documenti significativi, inclusa la ricca collezione di stampe satiriche anti-napoleoniche oggi conservata alla Bodleian Library di Oxford.

Qualche decennio più tardi la passione per il fenomeno Napoleone materializzata nella raccolta di oggetti e in bulimiche letture (quasi 500 volumi) avrebbe catturato anche il geniale regista Stanley Kubrick, ossessionato dall’idea di fare il ‘suo’ film sul generale-imperatore dopo il capolavoro del cinema muto realizzato da Abel Gance nel 1927. Sommerso da scatoloni di materiali raccolti per ricostruire il più fedelmente possibile cose, personaggi e luoghi, Kubrick non terminò il suo Napoleone, e oggi molti rimpiangono quel film mai fatto, soprattutto dopo l’occasione perduta nel 2023, rappresentata dall’incongruente e a tratti macchiettistico Napoleon di Ridley Scott. Di Kubrick ci resta però, come risultato dell’esercizio maniacale sui ritmi e le atmosfere del secondo Settecento, quel capolavoro che è Barry Lyndon (forse lo spin off del Napoleon mancato) nel quale la ricostruzione del dettaglio risponde all’esigenza di estrema fedeltà persino nelle scene a lume di candela e negli accuratissimi costumi.

Oggi la storiografia contemporaneista, grazie alla svolta culturalista e all’attenzione per la materialità, si è accostata con energie e occhi rinnovati alla storia degli oggetti intesi come agenti e veicoli mediatici di politicizzazione. Suppellettili, oggetti del quotidiano, indumenti sottoposti a processi di semantizzazione o risemantizzazione a fini di propaganda politica, in versione di pezzi unici o di produzioni seriali seppur ancora artigianali, sono studiati e raccontati come reperti di una “archeologia del contemporaneo” che può ancora dirci molte cose. Il fenomeno napoleonico, cerniera d’ingresso nella contemporaneità, resta uno dei casi più affascinanti per la persistenza e la trasversalità del mito globale trasmesso dagli oggetti politici dell’uomo e del suo tempo. 

Arianna Arisi Rota
Storica, insegna nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Pavia. Si è occupata di diplomazia nell’Italia napoleonica, di mobilitazione politica giovanile nell’Ottocento europeo, di costruzione della memoria post-risorgimentale. Tra le sue monografie: I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani (il Mulino, 2010), 1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso Lobbia (il Mulino, 2015), Risorgimento. Un viaggio politico e sentimentale (il Mulino, 2019), Il cappello dell’imperatore. Storia, memoria e mito di Napoleone Bonaparte attraverso due secoli di culto dei suoi oggetti (Donzelli Editore 2021).

(Aggiornato al 26 settembre 2024)