W Pio IX, W l’Italia, W la fi… Milano, 1848

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Nell’ottobre del 1847 venne arrestato a Milano Giuseppe Rossi, un artigiano di sessantotto anni, con l’accusa di aver rubato un lenzuolo. Gli agenti di polizia dopo averlo portato al commissariato, lo perquisirono e gli trovarono in tasca un biglietto di carta, lo aprirono e lessero questi versi che assomigliavano ad una specie di satira in rima: 

«Fosse Morta l’Ungheria Cedi il Trono a Pio nono
Viva la Francia l’Italia mia Scendi dunque dal Trono
Fra di loro in Compagnia E cedilo a Pio nono
Sti Tedeschi Farla pagar Tu non sei degno hai la testa di legno»
Dagli il Bando a Ferdinando 

Foglio volante ritrovato a Giuseppe Rossi, Archivio di Stato di Milano, Processi politici, busta n. 210.

Immediatamente interrogato sull’origine delle rime, egli dichiarò di averle scritte sotto dettatura da un ragazzo chiamato Antonio Gavotti che le aveva lette sui muri della città. Poco dopo venne arrestato anche lo stesso Gavotti, giovanissimo artigiano milanese. Sotto giuramento, egli confermò la versione del Rossi aggiungendo che per lavoro si recava spesso lungo la strada della chiesa di S. Eustorgio, dove si trovava quella scritta in rima, e vedendo molte persone che si soffermavano a leggerla, la imparò a memoria e ne parlò anche con i suoi compagni di lavoro. Il Rossi, inoltre, alla domanda degli agenti che gli chiedevano “per quale scopo tenesse quel manoscritto” in tasca, rispose di aver trascritto sotto dettatura quelle rime con l’intenzione di mostrarle alle compagnie di lavoratori che si riunivano nelle varie bettole e osterie della città, poiché spesso gli artigiani si dilettavano nell’inventare simili rime. Aveva proprio ragione Pietro Gori, avvocato, giornalista, compositore, esponente di spicco del movimento anarchico – autore, tanto per capirci, del celebre canto Inno del primo maggio [mettere link: https://youtu.be/_X0Rsf_7f0U?si=y4CCEzK5impZyD1n] –  quando nel 1883 in apertura del suo volume Il canzoniere nazionale scriveva: “I grandi libri popolari, finché durò la tirannide, furono i muri bianchi delle case. All’albeggiare d’ogni dì i poliziotti vi leggevano le strofe composte la notte: le cancellavano subito, ma però sempre tardi, perché uno, due, più cittadini le avevano vedute, lette, imparate a memoria e dette fra loro. Sicché in poche ore si sapevano e si ripetevano per tutta la città”.

Archivio di Stato di Milano, Processi politici, busta n. 210

Basta leggere uno dei tantissimi rapporti di polizia scritti attorno al 1848, conservati nell’Archivio di Stato di Milano, per capire il timore delle autorità nei confronti delle scritture sui muri. Frequenti erano le ronde delle guardie – soprattutto alle prime ore dell’alba, appena trascorsa la notte – per controllare i muri e, assieme alle squadre di imbianchini, cancellare le pericolose scritte tracciate con il carbone, con il colore, con la vernice ad olio, con il mattone, con la calce, con il gesso. 

Milano, a quel tempo sotto la dominazione austriaca, era in agitazione: erano molti i cortei spontanei e le manifestazioni improvvisate e non autorizzate che volevano a gran voce la cacciata dei “tedeschi” dal Lombardo-Veneto e inneggiavano soprattutto a Pio Nono, il nuovo papa che aveva inizialmente espresso vicinanza alle istanze di indipendenza e unità nazionale. 

Questo fermento lo ritroviamo naturalmente anche sui muri della città milanese e delle città vicine, tappezzati di scritte, graffiti, slogan, fogli volanti. La maggior parte dei quali erano brevi ed efficaci: “Morte ai tedeschi”, “Cacciamo lo stranier!!!”, “W Pio IX e la Francia”, “Ladri e cani che sono i tedeschi”, “Viva la libertà”, “Abbasso la polizia – Morte ai tedeschi”, “Morte ai barbari”. A Monza la popolazione ironizzava con il termine “polizai”, storpiatura di “polizei”, parola tedesca che significa “polizia”: ”W Pio IX morte ai Polizai” e “Morte ai polizai cause di noster guai”. Diffuso era anche l’acronimo “Viva Verdi”: Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia. Spesso questi graffiti erano rivolti contro i principali esponenti dell’amministrazione austriaca, come ad esempio Ferdinando I, imperatore d’Austria che abdicò il 2 dicembre del ’48: “Morte ai Tedeschi e Ferdinando assieme”. Oppure il Conte Luigi Bolza, odiato commissario di polizia di Milano: “W Pio IX e morte a Bolza”, “Un corno in tel cul all’anima Bolza \ Del noster boja del nobel cont. Bolza”.

Archivio di Stato di Milano, Processi politici, busta n. 211

Erano scritte ironiche, divertenti, derisorie. Si trattava – nella maggior parte dei casi – di motteggi di fattura popolare come si evince da un rapporto di polizia del 22 novembre 1847 in cui si leggeva: “Avvenne poi essere tutte di un egual tenore, scritte senza sintassi e senza ortografia con ingiurie triviali e puerili, sempre le stesse, senza pensiero o novità […] Questa ripetizione di eguali invettive male espresse e di perfidia volgare fornirebbe prova essere autori di simili scritti bassi plebei dell’indole più triste”.

All’interno del vasto campionario di scritture murali ritrovate nelle carte di polizia molte erano di tenore volgare: ”Morte ai schifosi Tedeschi – Evviva Pio IX”, “Porchi, Vacche, Troie Tedeschi”, “Viva Pio IX e merda per Tedeschi”, “Viva Pio IX, Ferdinando vacca di cane, perché tu vuoi morti gli italiani”, “Ferdinando imbecille”, “Porco l’imperatore e viva Pio IX”, ”W l’Italia, morte ai Tedeschi”. Ebbene sì, sui muri di Milano – questa volta siamo nel 1859 – comparve anche la scritta, divenuta ahimè un classico licenzioso sui muri delle nostre città (almeno per quanto riguarda la prima parte): “W la figa, W l’Italia”. 

Carlo Romussi, Le cinque giornate di Milano nelle poesie, nelle caricature, nelle medaglie del tempo. Memorie raccolte, Milano, Ronchi, 1894, p. 41

Nonostante la mancanza di informazioni sugli autori di questi episodi, è ipotizzabile che dietro ad alcune di queste scritte ci potessero essere degli individui più istruiti. Tali graffiti presentavano, infatti, caratteri scritti con una mano già molto allenata nella scrittura, la sintassi non era gravata da errori grammaticali ed il contenuto rinviava a forme d’espressione e modi di dire più elaborati e ricercati nel linguaggio: “Viva il nostro Papa pio, nato in Sinigaglia eletto da Dio per liberar l’Italia”, ritrovata sui muri a Monza il 14 dicembre del 1847 oppure quest’altra che campeggiava a Milano nel luglio del 1847: 

Signore ascolta il pianto mio Ed ai Tedeschi
Signor concedi vita Morte subitanee, ed accidenti
E salute a Pio In Gloria Pio sia

Queste scritture non devono essere lette in modo isolato dalle altre forme d’espressione della “parola”: come gli slogan, i canti, i fogli volanti. I graffiti rappresentano una delle tante modalità di far sentire la propria voce, facevano parte di un’articolata e composita pratica di comunicazione politica, soprattutto di tipo popolare. 

Archivio di Stato di Milano, Presidenza di Governo, Busta n. 253

Le scritture non rimanevano confinate sui muri cittadini, ma circolavano ampiamente tra la popolazione. Come abbiamo visto nell’episodio raccontato, alcune di queste venivano imparate a memoria e successivamente trascritte su fogli di carta. Altre, invece, venivano urlate a squarciagola nelle vie cittadine durante le ore notturne. Furono moltissimi, infatti, gli arresti per aver gridato “W Pio Nono”, “W l’Italia”, “Abbasso i tedeschi”. Altre ancora divenivano degli slogan cantati durante i cortei e le manifestazioni sediziose. Fu il caso di una delle iscrizioni maggiormente diffuse a Milano tra il 1847-1848: ”Viva Pio Nono, Ferdinando giù dal trono”. La sera dell’8 ottobre 1847 vennero arrestati Giulio Pozzoli, legatore di libri e tappezziere di diciott’anni e Luigi Alberganti, calzolaio di diciannove anni poiché, assieme ad una trentina di lavoratori, sfilarono per le vie di Milano cantando “W Pio Nono, Ferdinando già dal trono”. Nel relativo rapporto di polizia, la guardia che procedette all’arresto non mancò di sottolineare che: “quest’ultimo moto, e tanti altri confinanti tutti ingiuriosi per il Sovrano, e per il Governo continuano a comparire sulle pareti di questa città in tante diverse località, ne la vigilanza straordinaria della polizia giunse fin qui a cogliere il colpevole o i colpevoli”.

(Aggiornato al 28 maggio 2024)