Colonia Dignidad: il Trentino, gli orrori e l’ombra di Pinochet

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Sono passati 50 anni dal golpe in Cile. E il suo popolo non è ancora riuscito a mettersi d’accordo su quali siano i minimi comuni denominatori che dovrebbero sorreggere una società democratica. È moralmente valido limitare le libertà personali delle persone, imprigionare, torturare, persino assassinare e desaparecer (far sparire i cadaveri, come se nulla fosse successo), se un settore della società sente che i propri interessi sono minacciati? La risposta sembra ovvia, ma non lo è. Qui, ancora si discute sulla convenienza di mantenere viva la memoria sulle atrocità commesse da Augusto Pinochet e dai suoi subordinati, o semplicemente dimenticare quanto accaduto, spazzando tutto sotto il tappeto. L’enorme crescita dell’estrema destra, come in tanti altri paesi, è riuscita a dare legittimità a discorsi politici che rimettono in discussione i diritti umani e avvalorano l’intervento militare di quel tempo e le sue conseguenze. 

Ma non è finita qui: i risultati dell’indagine “Barometro della Politica CERC/MORI 1987 – 2023”, condotta un paio di mesi fa, indicano che il 36% delle persone interpellate afferma che le forze armate “hanno fatto bene a perpetrare il colpo di Stato ”, e solo il 41% ha affermato che “non c’è mai un motivo valido per perpetrare un golpe”.

Colonia Dignidad: probabilmente non c’è un luogo, in Cile, che meglio rappresenti gli orrori del passato e l’attuale irresponsabilità politica. Nata all’inizio degli anni Sessanta ai piedi delle Ande, questa colonia si costruì nella regione del Maule, a più di 300 chilometri a sud di Santiago, per iniziativa di una setta religiosa e filonazista fuggita dalla Germania, perché il suo leader, Paul Schäfer, era ricercato dalla polizia locale e dall’Interpol a causa di varie denunce a suo carico per abusi sessuali sui minori.

@Fonte Fundación Patricio Aylwin

All’inizio erano poche decine di persone, ma in seguito s’aggiunsero uomini, donne e bambini dalla Germania e fu attratta la popolazione cilena più povera della zona circostante. Lì, la tirannia dei gerarchi divenne brutale: molti minorenni vennero letteralmente rapiti o sequestrati, e alcuni subirono per anni gli abusi sessuali da parte di Schäfer. 

@Fonte Eurolatinpress

Si impose un regime di lavoro forzato semi-schiavistico, e chi non rispettava le norme interne veniva punito con violenza, incarcerato, costretto ad assumere droghe e psicofarmaci, torturato con l’applicazione di elettroshock. Le donne venivano costrette ad abortire. Vennero commessi reati economici, prodotte e trafficate armi. E dopo il colpo di stato nel 1973, Colonia Dignidad divenne un partner strategico della dittatura, trasformandosi in un campo di addestramento militare e in un luogo per la detenzione, la tortura e l’assassinio degli oppositori politici di Augusto Pinochet. Il tutto nella totale impunità, per decenni.

Lì, in mezzo a quella galleria degli orrori, a quell’impensabile distopia, c’era un gruppo di famiglie trentine. Erano i superstiti di un progetto di colonizzazione agricola promosso dallo Stato italiano e da quello cileno con fondi del Piano Marshall, all’inizio degli anni ‘50, che fallì miseramente. San Manuel de Parral, iniziativa legata alle più note esperienze migratorie di La Serena e Coquimbo, ebbe una vita breve e burrascosa, e finì nel peggiore dei modi. Dopo una serie di fallimenti tecnici e sociali, conditi da innumerevoli incomprensioni e conflitti tra gli amministratori e i coloni, la Compañía Chileno-Italiana de Colonización S.A. (CITAL) composta da istituzioni pubbliche di entrambi i paesi, decise irresponsabilmente di vendere più di 3.000 ettari di terreno proprio a due prestanome di Paul Schäfer. E in quel luogo, accanto agli appezzamenti dei trentini (e di qualche abruzzese), si stabilì Colonia Dignidad.

La scuola di Villa Baviera, precedentemente Colonia Dignidad, @Eurolatinpress

Dopo il ritorno alla democrazia negli anni ‘90, alla setta venne revocata la personalità giuridica (aveva fondato la Sociedad Benefactora y Educacional Dignidad). Ma oggi, nello stesso posto,  esiste Villa Baviera: un centro turistico con albergo e ristorante per “degustare una cucina squisita, autenticamente tedesca, e lasciarsi sorprendere da ricette ancestrali da godersi in famiglia”, come si può leggere sul web. E nonostante Paul Schäfer e diversi gerarchi siano stati processati e imprigionati, dal 2005 in avanti, Villa Baviera continua ad essere amministrata dai loro figli e nipoti, e rimane un certo riserbo sull’enclave, dove ancora risiedono alcune delle vittime degli abusi e alcuni dei carnefici.

Villa Baviera @Creative Commons

Ma di chi non v’è traccia è dei detenidos desaparecidos. Molti casi giudiziari relativi ai crimini commessi a Colonia Dignidad sono tuttora aperti. Negli ultimi quindici anni ci sono stati scavi in ​​più di trenta luoghi, in un’area di cento ettari: è l’unico sito di detenzione e tortura in Cile dove non sono stati ritrovati resti umani. Nessun frammento osseo, un resto d’una maglia, una penna o un quaderno, una catenina, niente. Solo terra bruciata. Con l’operazione “Ritiro dei televisori”, tra il 1975 e il 1978 Augusto Pinochet ordinò che i corpi degli oppositori della dittatura assassinati, che si trovavano nelle fosse comuni, fossero riesumati e cremati utilizzando acceleratori chimici, tra cui il napalm, fino a raggiungere i 600°C. Tutto ciò perché l’opinione pubblica internazionale aveva cominciato a comprendere la brutalità del regime, ed era urgente nasconderne l’evidenza. Il fiume Perquilauquén, che passa di lí, ricevette le ceneri e le disperse. Per sempre.

(Aggiornato al 27 settembre 2023)

Stefano Micheletti Dellamaria
Cresciuto a Bieno, piccolo borgo del Trentino, vive a Talca, in Cile, dal 2008. È accademico presso la Facoltà di Scienze Sociali ed Economiche dell’Universidad Católica del Maule e ricercatore del Centro Studi Urbano-Territoriali (CEUT ). Ha scritto numerosi articoli su territorio e migrazione, è autore del libro “Los italianos di Parral. La colonia antes de Colonia Dignidad” (Ediciones UCM, 2021) e ha compilato “Nuevas tierras otros mares” (Ediciones UCM, 2023). Collabora con le riviste Cuadernos de Sociologia e Medio Rural.