Per lungo tempo l’accessibilità è stata comunemente intesa come la rimozione di ostacoli fisici. Solo in tempi recenti ci siamo resi conto che gli ostacoli sono molteplici, almeno quante sono le necessità specifiche di ciascuno. E se, come sostiene l’architetto e museologo Fabio Fornasari, “le barriere sono state prodotte non con intenzione, ma sono state pensate da qualcuno che non è stato in grado di riconoscerle” il primo passo per poterne discutere è proprio cambiare punto di vista. “Analizzare”, “identificare”, “mappare” sono diventate le primissime parole-chiave dell’accessibilità a tutto tondo.
Il pensiero si rivolge subito a gradini, scale, ascensori e a tutto ciò che ci permette di accedere fisicamente a un luogo. Esserci è sicuramente la premessa, però spesso non basta: bisogna poter partecipare a ciò che accade in quel luogo, fare esperienza dello spazio, interagire con l’ambiente e con le persone. Bisogna anche riuscire a orientarsi, a recepire informazioni e comunicazioni molto pratiche. Dove sono i bagni per disabili? Dove i posti auto? Ci sono servizi dedicati al pubblico con disabilità?
La celebre icona dell’omino in sedia a rotelle riconosciuta con la sigla ISA, International Symbol of Access, nasce proprio da queste esigenze. Dal 1969 una semplice immagine stilizzata bicolore indica gli spazi sbarrierati come da standard ISO 7001, anche se la sua storia non è affatto conclusa.
La necessità di un simbolo internazionale di accesso nacque per la prima volta nella seconda metà degli anni sessanta all’interno dei movimenti statunitensi per i diritti delle persone disabili. In quel periodo gruppi già attivi localmente iniziarono a unirsi per perseguire obiettivi simili a quelli di molti altri movimenti per i diritti civili: sfidare gli stereotipi, promuovere un cambiamento culturale, politico e istituzionale e fare pressione per l’autodeterminazione della comunità disabile.
La discussione sulle rappresentazioni delle disabilità non rimase a lungo relegata ai soli Stati Uniti, ma raggiunse presto l’Europa anche per merito di Victor Josef Papanek, designer austriaco traferitosi a New York durante l’epoca nazista. Nell’estate del 1968 Papanek tenne a Stoccolma un seminario organizzato dalla Scandinavia Design Students (SDO), l’associazione studentesca della facoltà di arte e design. Lì la giovane studentessa danese Susanne Koefoed disegnò una prima bozza dell’ISA: il profilo stilizzato di una sedia a rotelle. Nel 1969 Karl Montan, su commissione della Rehabilitation International, intervenne sul simbolo aggiungendo un cerchio sopra allo schienale della sedia a rotelle, con il merito di rendere l’immagine meno astratta. Con quella semplice soluzione disegnò infatti la testa di una persona seduta altrimenti assente, umanizzando l’icona nella sua interezza e dandole un nuovo significato. Nella metà degli anni settanta l’ISA è stata infine accettata e riconosciuta come standard da Europa e Stati Uniti.
La storia però non è finita. Nel 2010 gli attivisti e designer Sara Hendren e Brian Glenney fondano il progetto di guerrilla art The accessible icon project e disegnano una nuova versione dell’ISA, per promuovere un’idea più attiva, meno assistenzialista, delle disabilità. La nuova icona, che ad oggi non sostituisce la precedente, mostra una persona protesa in avanti mentre si spinge sulla sedia a rotelle, richiamando alla mente i concetti di autonomia e di azione. La forza di questa semplice immagine non deriva più dal suo riconoscimento da parte delle istituzioni, ma proprio dal suo intento trasformativo e dalla sua validità artistica e culturale. Basti pensare che la versione dell’ISA di Hendren e Glenney fa parte delle collezioni del MoMA di New York.
The accessible icon project ci ricorda che il processo per raggiungere l’accessibilità ha bisogno di azione, non di passività, di interazione e di partecipazione. “Nothing about us without us” (“niente di noi senza di noi”) è il motto delle comunità disabili che non vogliono più essere escluse, forti del fatto che per riconoscere le barriere abbiamo bisogno di più punti di vista. Lungo questo percorso ricordiamoci anche che non tutte le disabilità sono visibili, che non tutte le persone disabili sono su una sedia a rotelle e che qualsiasi rappresentazione ha valore finché viene messa in discussione.
(Aggiornato al 15 novembre 2023)
Francesca Musolino
Passa così tanto tempo sui social, che ha dovuto farne un lavoro. Filosofa di formazione, mentre studia si appassiona prima al marketing, poi al mondo dell’accessibilità e infine ai loro punti di contatto. Oggi si occupa della comunicazione web e dei progetti digitali del Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Se non risponde ai DM è al cinema.