50 sfumature di gulash

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Prendiamo il Go/ulasch e relative varianti linguistiche nazionali. Quella volta che andai a Budapest da studente squattrinato e ordinai il gulasssic, non parlavo né tedesco né tantomeno ungherese – in una bettolaccia ancora sovietica l’oste ci guardò prima sorpreso poi torvo, si arricciò il baffo destro un paio di volte, poi chiamò dalla cucina chi ritengo fosse il lavapiatti, uno studente ancora più povero di me. Ne seguì un macchinoso negoziato linguistico che arrivò ad appurare che quello che io chiamavo gulass era il gulasch della Duplice Imperial Monarchia che però nella Budapest di allora – o forse solo nelle bettolacce – era ancora nota come “pörkölt”. Chiarito l’aspetto linguistico dell’equivoco ci venne scodellato quello che poi ho imparato appellarsi pörkölt. In sostanza, una sbobba liquida di carnaccia in spezzatino con l’aggiunta di non so che/preferisco non saperlo sovietici insaporitori coi quali – mi accorsi – si lavavano i baffoni gli operai in pausa pranzo e sovietica tuta, seduti ai tavoloni prospicienti il bancone.

Credo di essere stato fra gli ultimi a gustare l’autentico, originale gulass nazionale. Se poi è stato riscoperto non ve lo auguro comunque. Si tratta di ciò che i mandriani transumanti le vacche podoliche (quelle dalle corna lunghe) dai confini estremi dell’Impero, portavano (alcune fonti dicono dalla Turchia) fino a Budapest, Vienna e Venezia. Macellavano le vacche azzoppate o malate, ne riducevano la carne a spezzatino per poterlo facilmente seccare. Conservato in otri di pelle veniva reidratato e bollito assieme a erbe e spezie raccolte per strada e così consumato in zuppe fast food: autentico e originale street food? Poi arrivarono dalle Americhe i cultigeni che hanno salvato l’Europa e il mondo dalla morte per fame: patate, pomodori, peperoni/paprika e compagnia. E così il preindeuropeo pörkölt è diventato il gulass Imperial/Nazionale che conosciamo. 

Cominciò per prima la nobiltà ungherese che, nel corso del XVIII secolo, riuscì a convincere la controparte germanofona che l’Uomo non vive di sole kartoffeln (kartupelis e varianti in lettone) e così lanciò la corsa al goulasch e varianti nazional-globali dalle nobili origini. Entra poi in scena la nascente borghesia nazionale, poi nazionalista, che mutua e filtra usi e costumi della nobiltà antica e tribale per costruire la propria egemonia culturale ed economica: al vaccaro non far sapere quanto è buono il pörkölt senza tante pere. Il gioco è fatto: il gulass prende le varie strade dei rispettivi percorsi regionali e diviene una delle prime “ricette” a essere rivendicate come “autentiche”, “autoctone”, nazionali e sovrane. Quelle – si intenda – “Ricette della Nonna di Una Volta”, indigeribili primati dei quali è pieno il web. Mitica Nonna della quale non è dato sapere chi come e quando. Gulass dunque, prima ricetta fra le tante che oggi si contendono le globali “Prove del Cuoco” nazionali alla ricerca di improbabili primati, veti Dop, Docg, Igp – marchi e ricette depositati e blindati e quant’altro l’umana inventiva riesce a mettere in campo per essere il Primo della Fila a scommettere su un mercato culturale monetizzato peraltro da sempre globale.

Nel suo ormai ahimè dimenticato (le ricette hanno memoria breve) Comunità Immaginate: Origini e Fortuna del Nazionalismo del 1983, Benedict Anderson argomentava come il nazionalismo sia frutto di un paradosso al tempo storico e culturale. In buona sostanza: fu la borghesia emergente del XVIII secolo, peraltro nutritasi alle idee dell’Illuminismo universalfraternalista – prima dunque classe dominante poi egemonica inter-nazionale a “inventarsi” esclusive, “autentiche” affinità storico-culturali regionali (e spesso improbabili quando non irragionevoli) comunque cieche alla porosità di confini, incroci, sovrapposizioni… ibridazioni e meticciati che hanno prodotto ieri i nazionalismi che conosciamo. E oggi le illusioni di un sovranismo protezionista, confusionario e pandemico ancora senza vaccino…  

Qual è dunque l’autentica ricetta del gulass? E quale l’autentica ricetta della Nonna in un mondo dove il concorso internazionale del cuscus vede regolarmente prevalere il cuscus di Trapani? O i whisky giapponesi (adesso mi dicono che ne lambiccano di ottimo anche a Padergnone – o comunque in Trentino?). E la Pizza: autentico, unico ed esclusivo avatar di Napoli e alfiere globale dell’italica cucina? Origini neolitiche mesopotamiche, pitta in Grecia, pida/piada/piadina in Romagna, eredità dell’Esarcato di Bisanzio, con innumerevoli varianti nell’area mediterranea e ormai atterrata dalle nostre parti come “pane arabo”… Per non parlare delle innumerevoli italiche “pizze” regionali soffocate dalla tirannide Partenopea… E che dire – last but not least – della mortadella? Chi scrive sta per pubblicare un dotto saggio nel quale si dimostra che con tutta probabilità la mortadella, unica nel panorama degli insaccati italici, altro non è che un gigantesco wurstel inventato a Nonantola dai monaci benedettini longobardi – ovver tedeschi. Mi costerà la cittadinanza bolognese ma tant’è: la Storia scrive ricette precise e non si scherza. 

Mi rispondeva anni fa un’anziana signora di Tonadico, nel Primiero, che avevo eletto a Nonna dell’Autentica tradizione culinaria trentina: “Cesare, te me domandi del gulass… varda che per noaltri el gulass l’è el tonco…”. Insistevo: “…ma alora el tonco del pontesel elo che, ameda (in italiano “zia”)!?”. Mi guardò interdetta. Poi: “Quel no saveria dirte… ma per noaltri ‘te sei tonco’ vol anca dir ‘te sei m**a’”. Parole autentiche.   

Cesare Poppi
Bolognese, ha studiato Filosofia a Bologna e Antropologia Sociale a Cambridge. Ha condotto ricerche fra i Ladini della Val di Fassa e fra le etnie Gur-Grushi del Ghana settentrionale. Ha insegnato alle Università dell’East Anglia (Norwich), Bologna, Trento, Lugano, Pollenzo, Bolzano e Udine. Appena può veleggia in Adriatico.

(Aggiornato al 25 febbraio 2025)