La società irrazionale: siamo un Paese credulone?

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L’ultimo rapporto Censis, presentato a dicembre 2021, ha evidenziato la presenza di un’onda di irrazionalità che risale dal profondo della società, con la disponibilità delle persone a credere alle più improbabili ipotesi, teorie e strategie complottistiche. Tanto per esemplificare, un’indagine appositamen­te condotta ha evidenziato, tra l’altro, come:

il 67,1% della popolazione (70,2% per gli individui in possesso della sola licenza media) ritiene che il potere reale in Italia è concentrato nelle mani di un gruppo di potenti: alti burocrati, politici e uomini d’affari;

il 56,5% (73% per le persone con la sola licenza media) crede nell’esistenza di una casta mondiale di potenti che controllano tutto;

il 39,9% (44,2% per i soggetti in possesso di sola licenza media) è convinto che la cultura e l’identità del nostro Paese spariranno, rimpiazzate da quelle degli immigrati fatti arrivare appositamente dalle élite globaliste.

A tutto questo si aggiungono alcune convinzioni del tutto surreali: il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla luna e il 5,8% pensa ancora oggi che la terra sia piatta.

Le ondate irrazionali non costituiscono peraltro una novità se si guarda anche ai secoli precedenti; anzi si sono manifestate anche più spesso, in presenza di situazioni di sconvolgimento economico, politico, culturale, legate al crollo della rappresentazione consolidata del mondo in cui si viveva sino a poco prima. Fermo restando che esiste sempre uno zoccolo fisiologico di irrazionalità in ogni tempo e in ogni società, è necessario scendere nella situazione specifica che oggi stiamo vivendo e provare a individuare alcuni fattori distintivi e strutturali che vanno a costituire il “sottostante” del circuito vizioso che alimenta le credenze complottistiche. A tale proposito se ne citano almeno tre di molto importanti.

Il primo fattore può essere riportato a una sensazione di progressiva esclusione da parte di una quota rilevante della società, e, in particolare, della classe media. Si tenga presente che quest’ultima ha goduto in precedenza di un lungo trentennio – dalla fine degli anni cinquanta alla fine degli anni ottanta – di straordinaria crescita economica e sociale che ha trasmesso una sensazione di crescente inclusione, reale e percepita (così condivisa da essere automaticamente proiettata anche sugli anni a venire, con attese continue di miglioramento sul futuro proprio e dei propri figli).

Ovviamente le tre crisi degli ultimi vent’anni – quella economico-finanziaria del 2008, quella successiva di tipo pandemico e quindi quella attuale, legata alla guerra tra Russia e Ucraina – hanno in parte colpito gli aspetti reali di benessere ma soprattutto gli aspetti immateriali del vivere collettivo, cioè le attese future delle persone. Si è insomma finito per vivere una sorta di “tradimento delle attese” che ha generato un intreccio di stati d’animo negativi di delusione, rabbia, rancore e proiezione di responsabilità su presunti colpevoli che complotterebbero “a spese nostre”.

Il secondo fattore strutturale, che a sua volta rafforza il precedente, è costituito da un fenomeno di orizzontalizzazione sociale culturalmente povera. Mi spiego meglio: tra fine anni cinquanta e fine anni ottanta si è effettivamente allargato l’accesso all’istruzione, al lavoro, ai consumi, alla protezione sociale, con un conseguente ampliamento della stessa classe media (nel senso più largo del termine). Questo ha creato abitudini e soprattutto attese di una “inclusione in alto”, facile ed estesa, che in realtà è stata rimessa in gioco dalle tre crisi prima menzionate. In realtà oggi servirebbe qualcosa di più sul piano della formazione e della cultura collettiva per poter interpretare e vivere un mondo che si sta rapidamente trasformando sotto ogni profilo. Quando lo sviluppo facile rallenta o addirittura si interrompe, la cultura minima di massa non basta più e l’orizzontalizzazione povera entra in affanno. Tanto più che si vengono ad attenuare – come è avvenuto – quei meccanismi virtuosi di intermediazione che fornivano interpretazione, orientamento e implicita formazione della cultura collettiva attraverso l’azione dei diversi Sistemi di Rappresentanza degli interessi economici, sociali e politici.

Il terzo fattore strutturale, a ulteriore rafforzamento del precedente, è rappresentato dalla diffusione di Internet e dei social network che forniscono l’illusione di un accesso facile quanto ingenuo alla conoscenza per via individuale e che in realtà finiscono con il far scattare la trappola subdola dell’algoritmo: con una chiusura del circuito vizioso alimentato da un’orizzontalizzazione culturalmente povera, da un lato, e da una rappresentanza intermedia debole, dall’altro. Risulta così favorito lo sviluppo di un’ingenua creduloneria rispetto agli argomenti più vari tanto da assumere come vero quello che “ha detto Internet” (simile all’atteggiamento dei nostri nonni quando affermavano “l’ha detto la televisione”) e di una assai debole difesa rispetto alle fake news.

Cosa si può fare allora di fronte all’operare di questi tre fattori strutturali che si autosostengono a vicenda? È necessario intraprendere un percorso impegnativo di contro-strategie consapevoli e pazientemente poste in opera.

Serve, in primo luogo, affrontare la sensazione di esclusione, sollecitando gli atteggiamenti e i comportamenti virtuosi e pro-attivi delle famiglie e delle imprese, uscendo dal meccanismo passivizzante dei bonus e dei ristori e ritrovando una sintonia tra élite e popolo all’insegna di un’inclusività da protagonisti e non da assistiti, da cittadini e non da sudditi.

Serve, in secondo luogo, provare ad uscire da una orizzontalizzazione culturalmente povera, riattivando i meccanismi della rappresentanza degli interessi e andando così in controtendenza rispetto al processo di disintermediazione che ha prevalso in questi ultimi anni.

Serve, in terzo luogo, riattivare una forte assunzione di responsabilità individuale e collettiva per affrontare un ciclo più maturo di Internet: lo stesso Tim Berners-Lee, coinventore del World Wide Web, dà in proposito tre suggerimenti/criteri secchi: Pagare (per poter avere servizi di qualità, senza illudersi che esista qualcosa che si possa ottenere gratuitamente), Farsi Pagare (per le informazioni personali che si offrono inconsapevolmente alle grandi piattaforme) e soprattutto Studiare (per poter utilizzare, con una accresciuta responsabilità, la complessità dello strumento e le trappole che esso genera).

Nadio Delai
Sociologo, ha svolto attività di ricerca e consulenza in campo economico e sociale ed è stato direttore generale della Fondazione Censis. Dopo alcune esperienze manageriali (tra cui la direzione di RaiUno) ha fondato Ermeneia – Studi & Strategie di Sistema di cui è presidente.

(Aggiornato al 17 settembre 2022)