“La carta della canaglia” e non solo

4 min

I muri delle città raramente sono stati bianchi e puliti, per buona pace di chi oggi, nel passeggiare tra i vicoli e le strade di qualsiasi piccola o grande città, si indigna nel vedere sfregiato il decoro urbano: scrivere sui muri, infatti, è una pratica di lungo, lunghissimo periodo. Sono vastissime le tipologie di scritte che ritroviamo sui muri, da quelle spontanee a quelle più meditate, da quelle effimere a quelle più durature, da quelle devozionali a quelle politiche, da quelle oscene ed erotiche alla semplice apposizione del proprio nome, di uno slogan, di un simbolo. Armando Petrucci – uno dei più importanti esperti di storia della scrittura – rilevava che già nelle città dell’impero romano, fra il I e III secolo D.C, queste scritte erano presenti dappertutto: “nelle piazze e nelle strade, sui muri, nei cortili, dipinte, graffite, incise, […] diversissime fra loro non soltanto per aspetto, ma anche per contenuto, essendo ora pubblicitarie, ora politiche, ora funebri, ora celebrative, ora pubbliche, ora privatissime, di appunto o di insulto, o di scherzoso ricordo”. I muri, quindi, si trasformano in una tela, in uno spazio urbano da usare, da occupare, molte volte da conquistare per mostrare la propria presenza e farsi sentire. 

Siamo abituati a pensare che solo le classi più popolari utilizzavano i muri come strumento di comunicazione, poiché esclusi dalle altre forme di presa di parola. In parte è sicuramente vero. Luigi Re, nel suo volume sulle scritture murali durante il Risorgimento pubblicato negli anni Trenta, parlava di “letteratura murale”: “si tratta di quella letteratura i cultori della quale usano come carta i muri delle strade, come inchiostro la vernice o il carbone ed hanno per lettori i passanti. Noi, gente così detta civile, per combattere o sostenere un’idea, per demolire o esaltare un principio o una persona, per sfogare le nostre ire o profondere la nostra ammirazione, usiamo ricorrere ai giornali od ai libri. Il popolo invece si serve, e più ancora si serviva in passato, dei muri, che uno scrittore francese chiamava ferocemente “la carta della canaglia” e che sono spesso destinati a rappresentare le grandi pagine di un libro semplice e sincero, l’infallibile barometro che cogli “abbasso” e gli “evviva” segna il cattivo o il bel tempo”. 

Ma non solo il “popolo”, anche le altre classi sociali e le istituzioni, nel corso della storia, hanno usato e usano i muri come luogo dove poter parlare, come strumento dove segnare una presenza o manifestare il proprio potere. La scrittura pubblicamente esposta costituisce una forma di comunicazione orizzontale, immediata, democratica (in un certo senso): e per questo da porre sotto stretta osservazione, da controllare e, spesso, da censurare e cancellare.

Le scritte sui muri possono anche diventare oggetto di letteratura. Dai molti esempi che si potrebbero citare, ne segnaliamo due, molto diversi tra loro. Nel caso di Allen Ginsberg, poeta della beat generation, i graffiti si fanno essi stessi poesia: in “Graffiti del 12° gabinetto per uomini all’aeroporto di Syracuse” (1969) si affastellano scritte politiche (“Il potere al Viet Cong!” o “E se uno cominciasse una guerra & non venisse Nessuno?”), sessuali (le più numerose) o relative all’uso delle droghe (“CH2CH2N(CH3)23, cui segue un “LSD Per Sempre”). Italo Calvino, in “Le città invisibili”, mostra come le scritte sui muri (ma non solo su quelli) siano un elemento strettamente collegato alla dimensione urbana, talmente importante da poterne rintracciare, in quei graffiti, la propria storia: “Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”.

Ancora oggi il tema della scrittura muraria riesce a catturare l’attenzione. Nel sito https://www.ventenniooggi.it/ si fotografano e catalogano, distinguendoli per città, le “scritte & motti del Ventennio”, sul gruppo facebook “Scritte sui muri” (che conta 50.000 iscritti), invece, si possono segnalare scritte e graffiti, con intenti per lo più satirici o comico-grotteschi.

Dalla nostra prospettiva ciò che abbiamo cercato di fare in questo numero è soprattutto mostrare come queste tipologie di scrittura costituiscano anche delle eccezionali fonti per il racconto della storia, per ricostruire le mentalità, le culture di un’epoca, la storia sociale e politica, con un’attenzione in particolare alla storia dal basso. 

In questo numero abbiamo scelto di affidare i punti di vista a due figure opposte ma che, in un certo senso, sono strettamente collegate tra loro. Nella prima intervista abbiamo chiacchierato con la storica e public historian Desi Marangon, studiosa di graffiti veneziani e co-curatrice del festival “Urbs scripta”, che ci ha fornito le coordinate storiografiche per leggere e interpretare queste tipologie di scritture e ci ha illustrato la loro importanza in quanto documenti per il racconto della storia. Il secondo punto di vista l’abbiamo affidato all’artista Pier Paolo Spinazzè, in arte CIBO, che ci ha accompagnato tra le strade di Verona dove cerca di coprire e colorare le svastiche e altri simboli fascisti con disegni legati al mondo culinario: biscotti, pomodori, formaggi, pandori…  

Gli articoli che compongono il numero cercano di mettere in luce le differenti tipologie delle scritte sui muri. Alice Manfredi ci presenta un vasto campionario di graffiti d’amore da Pompei ai giorni nostri, mentre Flavia Tudini ci fa entrare nelle carceri per leggere i messaggi lasciati dai detenuti sui muri mentre scontano le loro condanne. Non si scriveva solo sui muri ma anche sulla pietra: nell’articolo di Marta Bazzanella scopriamo le scritte dei pastori dipinte con ocra e rudimentali pennelli sulle rocce di montagna. Michele Toss ci conduce tra i vicoli milanesi nelle concitate notti del 1848 e ci mostra, a lume di candela, le centinaia e centinaia di scritte politiche che tappezzavano i muri in quel periodo. Francesco Filippi ribalta la prospettiva: i muri non vengono utilizzati solo dalla gente comune, ma anche come megafono della propaganda fascista. Il tema delle scritte sui muri è inevitabilmente collegato anche a quello del decoro urbano, Roberta Susini ci presenta un progetto educativo promosso dalla Soprintendenza dei beni culturali della Provincia autonoma di Trento volto a sensibilizzare i giovani sul tema dell’imbrattamento dei luoghi pubblici. Nella rubrica “Un caffè con…”, curato da Tommaso Baldo, abbiamo raccontato, dalla voce di due militanti del Coordinamento studenti medi, la realizzazione, alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, di un grande graffito a Trento. Chiude questo numero una gallery curata da Mirko Saltori che ci porta nei paesi trentini alla scoperta di graffiti che ancora oggi campeggiano sui muri e che raccontano di vicende ed episodi del passato. 

Buona lettura, buona visione, buon ascolto!

(Aggiornato al 28 maggio 2024)