Festeggiamo di tutto. Ogni giorno c’è un anniversario, una ricorrenza, una celebrazione: se valeva per i giornali, la radio e la tv, ora tra social e piattaforme è ancora più evidente quanto simili appigli siano una forma cruciale di organizzazione dell’informazione, la bussola per districarsi dentro all’abbondanza e sovrabbondanza di proposte, un segno di interpunzione in cerca della sincronizzazione condivisa. È un modo facile per attirare attenzione, per distinguersi. Ma non solo. I media sono meta-riflessivi: non fanno solo da finestra sul mondo, da racconto del resto, ma guardano sempre anche al loro ombelico, riflettono su di sé, si mettono al centro della scena, simulacro di quella realtà che dovrebbero narrare. E allora si spiegano così sia l’affollamento di date memorabili, sia il continuo guardarsi dentro e guardarsi indietro, il profluvio di anniversari dei media sui media, le feste convocate e onorate da soli. I mezzi di comunicazione non perdono occasione: si pensi ai numeri celebrativi di giornali e riviste, alle raccolte di materiali d’archivio e alle prime pagine memorabili, ai party per la carriera di un’attrice o un cantante, ai doodle celebrativi di Google e alle gallery dei quotidiani online che non si negano a nulla. Talvolta, però, questi momenti valgono di più, e diventano l’occasione per un discorso diverso: come in questi cinque casi, tutt’altro che esaustivi, dove la festa, e il modo di celebrarla, raccontano ben più di quanto sembra.

1. Dieci anni di televisione (1964)
Nel momento in cui la storia della televisione italiana raggiunge il primo traguardo, è tempo (anche) di raccontarne finalmente la preistoria, l’archeologia. Il 3 gennaio 1964, dieci anni dopo il giorno che segna l’inizio delle trasmissioni regolari, il Programma nazionale trasmette un’inchiesta del giornalista Ugo Zatterin, Tv. Dieci anni dopo. Tra immagini d’archivio e interviste ai protagonisti, la tv spiega in dettaglio la sua nascita nelle sperimentazioni torinesi del secondo dopoguerra: il primo “originale televisivo” e le complicazioni sul set, le riprese sportive, l’invenzione del telegiornale, il “tele-panico” delle annunciatrici, i primi passi in conduzione di un certo Mike Bongiorno. Il piccolo schermo è tecnologia, istituzione, estetica, cultura: un’opera collettiva che emerge dalla molteplicità di voci, dai dirigenti ai cameramen. In chiusura Zatterin entra in scena per una ricostruzione posticcia del primo annuncio, altrimenti andato perduto, e nuovamente declamato da Fulvia Colombo per l’occasione: la tv è già continua reinvenzione.

2. Cinquant’anni di broadcasting, vent’anni di tv (1974)
Milleluci è insieme un coronamento e un canto del cigno: la messa a punto perfetta del modello classico del varietà, con Mina e Raffaella Carrà, per la regia di Antonello Falqui, e allo stesso tempo la vetta del genere, mai più toccata, alle soglie di una rivoluzione che investe l’intero sistema dei media italiano, con le radio e tv locali e poi i network commerciali a sancire la fine del monopolio. E il programma diventa l’occasione per celebrare un doppio anniversario. La prima puntata festeggia la radio, a cinquant’anni dalle prime trasmissioni dell’Unione Radiofonica Italiana (URI), poi Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR), quindi Rai: partecipano Alberto Rabagliati e Nilla Pizzi, il Quartetto Cetra e Franca Valeri. Mentre la quarta è tutta dedicata ai primi vent’anni del paleo-piccolo schermo: nel varietà si trasfigurano il quiz (con Mike Bongiorno e uno speciale Rischiatutto) e lo sceneggiato (grazie ad Alberto Lupo), lo spettacolo del passato (con le Kessler) e del futuro (con Adriano Celentano e Carrà circondati da specchi per “Prisencolinensinainciusol”). La festa diventa spettacolo, e lo spettacolo è un’imperdibile festa di messa in scena e scrittura televisiva.
3. Novant’anni di cinema (1985)
La tv non celebra solo se stessa, ma anche le altre sorgenti dell’immaginario condiviso. E in questo immaginario un ruolo del tutto speciale è quello occupato dal cinema, che nel piccolo schermo trova sia la sua croce industriale sia la delizia della riproposizione e del recupero. Nel 1985, una Raitre ancora in cerca d’identità diventa la tabula rasa perfetta per un lunghissimo racconto della settima arte, firmato da Enrico Ghezzi prima di Blob e di Fuori orario (ma possiamo considerarla una palestra). 40 ore di film ininterrotti, una maratona che comincia con i fratelli Lumière per arrivare quasi a oggi. Scrive lo stesso Ghezzi: “Un film, sicuramente, oltre che una cosa piena di film. E film immediatamente mutati in televisione, pura televisione, perfino con gli inconvenienti della diretta […]. Cosa televisiva/cosa cinema. Espansione fino all’esplorazione. E implosione, se si pensa che dilatare la durata di un evento-cinema in tv è fare l’esatto opposto della normale programmazione cadenzata per appuntamenti ciclici”. Dieci anni dopo, lo sforzo si ripete, ma solo in notturna, tra maestri riconosciuti e chicche cinefile.
4. Dieci anni di tv commerciale (1990-1991)
Anche la televisione commerciale si celebra e si racconta, e lo fa in modo molto più diretto, fedele a quelle modalità “all’americana”, promesse e poi annegate nel nazionalpopolare, che ne hanno segnato i primi passi: colori accesi, lustrini e paillettes, autopromozione al quadrato. Buon compleanno Canale 5 è il momento in cui la rete, regolarizzatasi infine anche a norma di legge (Mammì), traccia un suo canone: gli anni sono dieci, e allora dieci puntate e dieci programmi notevoli per ciascuna puntata. Ogni sera si vota il migliore, e nell’appuntamento dedicato al futuro si incorona la trasmissione più rappresentativa. Silvio Berlusconi costruisce pure qui la sua traiettoria eroica, l’intuizione imprenditoriale, i mille ostacoli superati, la capacità di guardare oltre e aprire nuove strade: dopo qualche anno, risulterà parecchio utile. C’è l’archivio e c’è il racconto, soprattutto ci sono le star: Mike Bongiorno, Corrado, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Marco Columbro, Maurizio Costanzo, Heather Parisi. The show must go on.

5. Trent’anni di web (2020)
Questa piccola selezione si è concentrata sull’audiovisivo, nelle sue tante forme, e ha senso chiuderla con un altro medium in cui l’audiovisivo, prima marginale, è diventato altrettanto centrale: il web. Ma spostare lì l’attenzione rivela anche un’assenza, una mancanza: i trent’anni del medium che più di ogni altro ha attraversato e attraversa le nostre vite, il nostro agire quotidiano, la nostra socialità pubblica e privata, sono stati celebrati insieme dappertutto e da nessuna parte. Non c’è una data precisa, al di là dei richiami al CERN e a Tim Berners-Lee, né la volontà di stabilire una convenzione. All’ennesima notizia di una perenne rivoluzione digitale, manca la storicizzazione, e tuttora ci ostiniamo a chiamare “nuovi media” quegli spazi ormai su piazza da tanti decenni. E così ci sono stati articoli e commenti, su carta e online, servizi nei telegiornali, qualche approfondimento, ma nulla capace di dare un quadro più ampio, di fare da riferimento condiviso, insomma di festeggiare davvero un traguardo tanto importante. Forse è colpa dell’abbondanza di anniversari e pretesti che scandisce tutto il discorso online (e quindi il discorso tout court). O forse della frammentazione delle attenzioni e degli interessi, un cane che si morde la coda. Ma anche i media digitali ormai meritano uno sforzo di racconto e celebrazione in più. Teniamoci pronti.
(Aggiornato al 3 giugno 2022)
Luca Barra è professore associato di Televisione e media digitali presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. Guarda troppa tv, e spesso finisce per scriverne (ultimi libri: La programmazione televisiva, 2022, e La sitcom, 2020).