Trento, sulle tracce del fascismo in città

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Una sera di molti anni fa mi trovavo a Roma per le ricerche della tesi di laurea; mangiavo in una trattoria e i miei vicini di tavolo, una coppia anziana del nord Europa, vedendomi da sola avevano iniziato una conversazione. Dopo qualche momento, un po’ imbarazzati, mi avevano detto che loro avrebbero voluto trovare a Roma traccia del fascismo, di Mussolini. Non mi erano sembrati dei nostalgici ma piuttosto delle persone realmente interessate al passato italiano, anche un po’ timorose di offendermi chiedendomi informazioni circa una pagina oscura della storia nazionale. Io credo di aver suggerito una gita all’Eur, al foro italico e la cosa era finita lì. 

Se incontrassi oggi, a Trento, quella coppia nord europea, avrei molti suggerimenti. Perché da quella sera romana anche io, che ora mi occupo di storia urbana, sono andata in cerca di quelle tracce fisiche, fatte di marmo, pietra e mattoni. Il fascismo si è imposto sulle città italiane come sugli individui. Ha demolito, cambiato, inventato, cercato instancabilmente di costruire “spazi fascisti’” così grandi e avvolgenti che ora non li riconosciamo più come tali. Dagli anni trenta e quaranta del Novecento, gli italiani e le italiane abitano dentro una realtà molto segnata dall’estetica imposta dal regime: non solo in città di nuova fondazione come Latina, ma anche in centri storici interamente demoliti e ricostruiti come Como o Brescia, o parzialmente rimaneggiati come Trento.

A Trento, il fascismo cala la propria impronta su edifici pubblici altamente simbolici perché legati a precise funzioni dello Stato: le nuove caserme in corso degli Alpini; la stazione ferroviaria e le poste, che sostituiscono edifici già esistenti e funzionanti ma dallo stile esplicitamente austriaco; le scuole elementari Sanzio, dove contenitore e contenuto fascista si fondono in un nuovo edificio; la sede del partito fascista. L’intervento più massiccio è la cancellazione dell’antico quartiere del “Sas” nel centro storico, realizzato per ottenere una piazza dedicata alle ritualità del regime, la piazza del Littorio, oggi Cesare Battisti. Dal 1936, chi passa dalla valle dell’Adige senza entrare in città, distingue facilmente il mausoleo a Cesare Battisti, con le sue bianche colonne doriche che svettano dal dos Trento. 

Mausoleo Cesare Battisti, Trento

Come spesso accade quando si tratta di architettura razionalista italiana, sono episodi di pregio, firmati da architetti il cui valore è riconosciuto dalla critica, che anche per questo sono diventati parte del paesaggio urbano. La stazione dei treni progettata da Angiolo Mazzoni ancora oggi incanta per la bellezza del colonnato all’ingresso ma anche per i dettagli in ottone della biglietteria. Anche la scuola elementare firmata da Adalberto Libera ha trovato una perfetta aderenza con il vicino Castello del Buonconsiglio, mantenendo aperto un dialogo proficuo tra l’antico e il moderno. 

Scuola Raffaello Sanzio, Trento

Meno riusciti sono gli edifici che circondano piazza Cesare Battisti: in altre città italiane la ricostruzione dello spazio demolito – o meglio sarebbe dire sventrato – è stata commissionata ad un’unica firma, mentre a Trento è il risultato di progetti diversi. Lo stesso Libera aveva scritto una lettera al Podestà del tempo per criticare questa scelta. Questi luoghi ed edifici sono tracce evidenti, vistose, scenari in cui si continua a vivere, che si possono facilmente leggere e interpretare storicamente. 

Non è però questo il solo fascismo che troviamo in città. Ci sono anche tracce piccole, a volte piccolissime, che proprio per la loro apparente insignificanza si sono depositate nel tessuto urbano fino a diventare invisibili, ma non per questo inesistenti.

Sono ovvie le scritte parzialmente rimosse: la facciata della Galleria che porta in piazza Cesare Battisti, è ricoperta dal mosaico di Gino Pancheri La donna del Fascio (1937), con una citazione di Mussolini tratta dal discorso sulla proclamazione dell’Impero coloniale italiano del 9 maggio 1936. Dopo la guerra sono stati scalpellati il fascio littorio e la firma di Mussolini, con l’effetto finale di rendere ancora più visibili entrambi.

Mosaico La donna del fascio di Gino Pancheri, Trento, 1937

Un’altra scritta quasi cancellata – ma forse la parola giusta è imbrattata – si trova sull’edificio dell’ex questura, proprio di fronte a una delle porte del Castello del Buonconsiglio. Difficilissimo decifrarla, si legge solo la firma di Vittorio Emanuele, la si individua perché in un angolo è sfuggito al marrone che la copre un fascio littorio affrescato, di grande dimensione.

Poi ci sono i ferri lasciati nelle pareti senza il fascio: come quelli che spuntano a reggere il nulla in piazza Venezia, quasi di fronte a un ciclopico bassorilievo dell’uomo che ancora oggi saluta con il braccio destro alzato le persone ignare. 

Nelle giornate serene, quando le bandierine in ferro sul tetto del Castello del Buonconsiglio si stagliano sul cielo, chi è dotato di buona vista vede che tutte sono traforate con una decorazione di fasci littori. Altri si trovano ancora su alcuni tombini fusi e posati durante il Ventennio. 

Piazza Cesare Battisti, Trento

Un capitolo a parte meritano i monumenti inaugurati dalle gerarchie fasciste che si trovano nei parchi urbani. In piazza Dante si notano subito perché sono completamente diversi dai classici busti, quello in stile vagamente egiziano è dedicato all’ingegnere Luigi Negrelli e la grande testa che richiama lo stile precolombiano celebra il padre e esploratore Eusebio Chini. I due monumenti vengono inaugurati per celebrare le due personalità trentine in chiave nazionalista nel settembre del 1930, in occasione del XIX congresso della Società italiana per il progresso delle scienze con la partecipazione di Guglielmo Marconi. Più anonimo è l’obelisco al centro di piazza generale Antonio Cantore, che presenta una scritta oggi poco leggibile, sembra cancellata dal tempo più che dalla volontà: è stato posto come pietra fondativa di corso degli Alpini, che congiunge in linea retta la stele alle omonime caserme inaugurate dal podestà e alpino Cesare Scotoni nel 1925.

E poi ci sono le persone, i nomi a cui sono intitolate le vie e le piazze, sfuggiti alla pulizia della memoria degli scalpelli. Come Ezio Maccani, aviatore trentino volontario in Spagna contro le forze democratiche, che muore in volo mentre è impegnato a bombardare un paese vicino a Barcellona nel 1937. Si scopre così che l’innocua via è dedicata a quel Maccani che “Volontario in missione di guerra per l’affermazione degli ideali fascisti partecipava con grande ardimento a numerose azioni quale pilota capo equipaggio di aereo da bombardamento. Fulgido esempio di eroismo e di sublimi virtù militari” (dal Regio Decreto 18 aprile 1938 che gli assegna la medaglia d’oro al valor militare). 

La verità è che le città non stanno mai ferme, qualcosa del passato rimane, qualcosa viene tolto consapevolmente, altro si cancella perché perde di senso agli occhi degli stessi abitanti. Conoscere e far conoscere le tracce del passato, anche quando riguardano quei momenti dolorosi o imbarazzanti che vorremmo dimenticare, può avere un ruolo importante per avere una cittadinanza consapevole, che vive pienamente sulla scena della propria città.

(Aggiornato al 6 maggio 2022)