Le pareti rocciose del monte Cornón, che sovrastano gli abitati di Tesero, Panchià, Ziano di Fiemme e Predazzo, sono testimoni di una particolare tradizione secolare della pastorizia che ha plasmato il paesaggio naturale della montagna di Fiemme. Lungo i percorsi seguiti in passato dai pastori e dalle greggi nell’incedere verso i pascoli di quota, si possono ammirare oggi migliaia di scritte dipinte con ocra rossa sulle rocce, che col passare del tempo sono diventate dei veri e propri scrigni di memoria della pastorizia locale.

Le scritte si concentrano soprattutto nella fascia altitudinale compresa tra gli ultimi campi agricoli e le praterie di alta quota destinate allo sfalcio, dove i pastori sostavano con le greggi. Luoghi difficili da raggiungere, ma che offrivano rifugio e pascolo per gli animali, diventando così spazi ideali per esprimere pensieri, emozioni e identità.
L’indagine etnoarcheologica, condotta dal METS – Museo etnografico trentino San Michele a partire dal 2007, ha permesso di raccogliere informazioni dettagliate sul fenomeno delle scritte e sulla pratica della pastorizia in valle di Fiemme. L’obiettivo era quello di identificare le pareti con scritte sul monte Cornón e di individuare le evidenze strutturali legate al pastoralismo, focalizzandosi sulle strategie di sfruttamento del territorio adottate dalle comunità locali nel corso dei secoli. Il risultato è stato la creazione di un database contenente le testimonianze scritte lasciate dai pastori sulle rocce del monte Cornón, accanto agli oggetti e alle strutture utilizzate nella pratica della loro attività lavorativa. La ricerca ha inoltre esplorato il contesto socio economico che ha originato le scritte e ha collocato cronologicamente la prima frequenza antropica dei ripari sottoroccia, utilizzati dai pastori, già a partire dalla preistoria: in un’epoca compresa tra l’Eneolitico e l’età del Bronzo.
Le oltre 47.000 scritte presenti sugli spalti rocciosi del monte Cornón, realizzate su 2731 pareti, offrono un affascinante viaggio nella storia della pastorizia della valle, rivelando la cultura e la tradizione dei pastori di Fiemme. Questi ultimi contrassegnavano il vello delle capre e delle pecore con l’ocra rossa per identificarne il proprietario, ma oltre a questo utilizzo pratico, nei momenti di riposo del gregge, liberavano la loro fantasia realizzando scritte eseguite con un rudimentale pennello, costituito da un ramoscello di ginepro sfibrato con i denti, che intingevano in una densa poltiglia di ocra e latte di capra o pecora (talvolta anche urina, acqua o saliva) detta ból nel dialetto locale: una preparazione molto efficace se le scritte sono rimaste ben visibili sulle pareti del monte Cornón per oltre cinque secoli.
L’attività scrittoria dei pastori inizia nel corso del Quattrocento e continua fino ai giorni nostri, sebbene con una maggiore produzione tra la seconda metà del Settecento e gli inizi del Novecento, dimostrando una sorprendente padronanza della scrittura da parte dei pastori ben prima dell’introduzione dell’istruzione obbligatoria in Trentino.

Le scritte presentano una varietà di stili e contenuti che le distinguono in due gruppi: quelle antecedenti alla metà dell’Ottocento e quelle successive. Le prime sono caratterizzate da sigle, date, abbreviazioni, simboli e conteggi del bestiame, espressi perlopiù con i numeri romani. L’autore è difficilmente riconoscibile se non attraverso i segni di famiglia e lo spazio di scrittura è puntualmente delimitato da cornici di varia foggia, creando una sorta di piccola edicola sormontata da una o più croci; in alternativa lo spazio poteva essere campito da puntini o facendo risaltare il negativo della scritta.

Si tratta nel complesso di scritte stereotipate che sembrano esprimere la volontà, da parte dei loro autori, di marcare un territorio, di lasciare una traccia riconoscibile del proprio passaggio. Per gli autori delle scritte di questo periodo la padronanza della scrittura non è ancora ben evidente e possiamo parlare solo di prima alfabetizzazione. Il modello è quello della scrittura epigrafica incisa sulle architravi in legno delle costruzioni dei paesi di fondovalle, raffigurata sui dipinti delle chiese, sui capitelli, sulle immagini devozionali e nei libri sacri.
Le scritte del secondo periodo si caratterizzano per il progressivo abbandono di sigle, abbreviazioni e segni di famiglia, che lasciano il posto al nome dell’autore scritto per esteso, spesso accompagnato dall’indicazione del paese di provenienza.

Cominciano a comparire brevi messaggi di testo che descrivono il lavoro svolto in montagna e fissano eventi come lo stato del tempo atmosferico, il Santo del giorno, la ricerca di qualche pecora smarritasi o trovata morta; vengono descritte sensazioni come la gran fatica, lo stato d’animo felice, la paura, lo sconforto e la ricerca di protezione nella sfera magico religiosa. Nel Novecento, in particolare, compare anche qualche sparuto messaggio di natura più prettamente pubblica e politica. La padronanza della scrittura da parte degli autori delle scritte di questo periodo è ormai ben acquisita; i modelli di riferimento cambiano e diventano quelli della scrittura popolare di tipo epistolare. Ogni scritta è curata con dedizione artistica, perché destinata a durare nel tempo e a sopravvivere ai suoi artefici, che hanno utilizzato le pareti rocciose come grandi lavagne per esprimere se stessi e comunicare con gli altri frequentatori della montagna.
Marta Bazzanella
Etnoarcheologa, dal 2003 lavora come conservatrice e ricercatrice presso il METS-Museo etnografico trentino San Michele e dal 2006 a dirige per il museo la ricerca pluridisciplinare sulle scritte dei pastori della valle di Fiemme. Si occupa di cultura materiale, di pastorizia alpina, di tessitura e di industrie in materie dure animali.
(Aggiornato al 28 maggio 2024)