Tutto ebbe inizio, per puro caso, a Zurigo presso il palazzo dell’Onu, molti anni fa. L’ambasciatore italiano era allora Roberto Toscano che era stato un giovane diplomatico al tempo del golpe di Augusto Pinochet in Cile nel settembre 1973. Mi fermai a parlare con lui e mi chiese da quale regione italiana provenissi. Risposi che venivo dal Trentino. Lui mi raccontò di quando era in Cile e che l’ambasciata italiana era diventata luogo di rifugio e asilo per gli oppositori e i perseguitati dal regime. E mi riferì di una suora altoatesina che era stata fautrice di molti salvataggi dei ricercati dal regime. Disse che si chiamava Valeria Valentin.
Mi misi sulle sue tracce della donna, ma non fu facile. Nessun riferimento, nessun indirizzo: niente di niente. Solo un indizio: abitava in Alto Adige. Sull’elenco telefonico non compariva il suo nome e nemmeno quello del marito (nel frattempo si era sposata e aveva avuto due figli). Impiegai molto tempo e decine di telefonate a rintracciarla. La trovai al Castello di Rodengo, dove faceva la custode. Fissai un appuntamento. Mi fece accomodare nella stube del suo alloggio. Accanto a lei il figlio Andrees, appena tornato dal Cile, dove era stato nei luoghi frequentati dalla madre. Non ne conosceva la vera storia.
Accennai che era stata una suora e il figlio stupito si rivolse alla madre: “Mamma, ma eri una suora?” Lei confermò. Ma il figlio non sapeva quasi nulla delle vicende e del ruolo di Valeria. Nemmeno il marito Carlo Pizzinini, allora frate in missione in Cile, sapeva tutto. Nel periodo della dittatura Valeria non poteva svelare i suoi segreti, troppo pericoloso se avessero arrestato Carlo o qualche collaboratore di Valeria. Il silenzio era d’oro.
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Valeria nella sua stube era l’antitesi dell’eroina, quasi dimessa, silenziosa, bisognava tirare fuori le risposte con la tenaglia. Le parole quasi sottovoce. I ricordi riaffioravano nella sua memoria. Erano lì, sempre presenti nella sua vita.
Non voleva apparire un’eroina, ma una persona che aveva agito, come disse, “in nome del Vangelo: quello che ho fatto era l’unica cosa da fare”. Compresi subito l’importanza del suo ruolo e dei pericoli che aveva corso. Arrestata due volte, rischiò di scomparire nelle fauci del regime e fu salvata solo dall’intervento del cardinale Raúl Silva Henríquez, che telefonò personalmente al dittatore Augusto Pinochet, minacciando una crisi diplomatica tra la Chiesa e il Cile. Alla fine Valeria fu costretta ad andarsene dal Cile, la sorveglianza era strettissima, controllata a vista dalla Dina, la polizia segreta di Pinochet. Tuttavia la donna mi raccontò solo la metà di quello che aveva fatto, l’altra metà la scoprì intervistando il marito, Carlo Pizzinini.
Quella a Rodengo fu l’unica intervista rilasciata dalla Valentin sul suo periodo in Cile. Le telefonarono decine di giornalisti da tutta Italia, ma lei rifiutò di parlare. Me lo disse chiaramente: “Questa è l’unica volta che parlo e non parlerò più della mia esperienza sotto la dittatura”. E fu così. La notorietà le capitò addosso, ma lei non volle parlarne con nessuno, neanche con i vicini dopo il loro enorme stupore alla notizia del mio giornale. Al castello arrivavano persone importanti, celebrità e ricchi, lei li accoglieva indossando un povero poncho.
Con Valeria nacque, però, un rapporto confidenziale e ogni volta che andava in missione per la Caritas di Bolzano, soprattutto in Africa, dove era stata appena vestito l’abito religioso, ci sentivamo e mi raccontava. E io scrivevo. Non aveva perso il “vizio” di aiutare i più poveri, gli emarginati: gli ultimi della società.
Negli ultimi anni si impegnò per la nascita della Casa della Solidarietà di Bressanone. Doveva esserne la direttrice, ma morì poco tempo prima. Era il 2002, nata nel 1937 in Val Badia, doveva ancora compiere i 65 anni.
Ma perché la figura di Valeria Valentin è così importante?
Per capirlo bisogna tornare all’11 settembre 1973 in Cile. I militari, guidati dal generale Augusto Pinochet, con un golpe, s’impadronirono del potere, dopo il bombardamento del palazzo presidenziale de La Moneda. Il presidente Salvador Allende fu ucciso e subito dopo iniziò la feroce repressione con migliaia di morti e decine di migliaia di persone torturate. Le ambasciate, soprattutto quella italiana, divennero luogo di rifugio per i perseguitati. Molti da qui raggiunsero l’Italia. In questo contesto emerse la figura della suora italiana Valeria Valentin, che, con il suo gruppo clandestino, strappò dalla morte centinaia di persone. Quante? Per difetto si calcola circa 600, ma è probabile che furono molte di più.
Ora la Fondazione Museo storico del Trentino ha deciso di ricordare la figura di Valeria Valentin con un docufilm che verrà presentato nei vari festival in Italia e all’estero.
(Aggiornato al 27 settembre 2023)
Paolo Tessadri
Laureato in sociologia e storia contemporanea, è giornalista pubblicista dal 1986 e professionista dal 1995. Ha scritto, lavorato o collaborato per giornali e riviste locali, nazionali e tv, tra cui L’Espresso, Repubblica e altri giornali e periodici del Gruppo Gedi-Finegil, Donna Moderna, Tu Style e Il Fatto Quotidiano.