Fra i primi videogiochi che ho avuto sottomano, ho avuto la fortuna di incappare nel primo capitolo di una serie mitica nel suo genere, chiamato “strategico”: Sid’s Meier Civilization. Amatissima fin da subito, anche se altri sono i videogiochi celebri degli anni ’90. “Civ”, come lo chiamano i fan, rimase a lungo un videogioco apprezzatissimo dalla critica ma forse relegato a un gruppo (per quanto ampio) di appassionati. Questo primo gioco usciva nel lontanissimo 1991 e lo giocavamo assieme all’amico fortunato, quello che aveva già PC e svariate console, con mia enorme invidia, sociale e digitale. Stregati dal medium, passavamo ore davanti a una sorta di plancia che, vista oggi, appare davvero respingente.

Non la ricordavo nemmeno più, l’ho rivista mentre cercavo qualche immagine per questo articolo. Oggi sembra poco più di una mappa di Risiko fatta di pixel, ma all’epoca era letteralmente il volto del futuro. Da appassionati di giochi da tavolo e di giochi di ruolo, una mappa interattiva con svariati giocatori era un sogno che diveniva realtà. Sono passati molti anni, e attualmente siamo al sesto capitolo della serie, uscito nel 2016, e arricchito da numerose espansioni, una in uscita in questi giorni. Molte meccaniche di gioco sono rimaste costanti: scegliamo una civiltà e ne affrontiamo altre avversarie su una mappa, che può essere casuale o il planisfero stesso.
Il ritmo del gioco è scandito a turni, e anche questo lo fa assomigliare a un boardgame. La vittoria, invece, si può cercare in più modi. All’inizio avevamo vittorie militari, o una vera e propria corsa allo spazio; nelle edizioni più recenti possiamo vincere anche espandendo la nostra religione, oppure raggiungendo una supremazia diplomatica o culturale sugli altri giocatori.
Nel mondo anglosassone da un paio di decenni ha cominciato a farsi largo il concetto del “game based learning”, letteralmente “apprendimento basato sul gioco”, ovvero l’utilizzo scolastico di giochi e videogiochi in funzione educativa. L’idea alla base è che il gioco/videogioco stimoli il coinvolgimento degli studenti, dando agli stessi un ruolo attivo, che superi la staticità della lezione frontale. Il video/gioco favorisce anche fenomeni di immedesimazione, soprattutto laddove i video/giochi siano costruiti su temi storici. In questo caso si è parlato, usando un gioco di parole, di “playing history”, giocare la storia.
O meglio, “re-playing history”: ri-giocare la storia, ri-vivere la storia. Vestire i panni di un personaggio storico (o di intere civiltà) favorisce l’immersione in un certo contesto o anche forme di empatia. Può essere simile a quello che accade col cinema, con la differenza che in un videogioco, con le limitazioni del caso, sono IO a condurre la narrazione.

Un panorama di queste sperimentazioni è presentato in un saggio scritto l’anno scorso dal gruppo Laboratorio Lapsus e pubblicato sulla rivista Diacronie. Con la scusa di parlare del caso di Civ, il collettivo fa anche il punto sul rapporto tra videogioco, public history e didattica, non facendo mistero che l’Italia in questo è ancora in uno stadio germinale. Spesso nel dibattito pubblico italiano il videogioco entra in forma di critica: semplificato, appiattito e persino demonizzato. Comincia però a svilupparsi una comunità, anche accademica, di chi studia seriamente la storia del videogioco (e il videogioco nella storia), e il suo utilizzo come strumento didattico.
In sé Civ non contiene elementi eclatanti dal punto di vista storiografico. Anzi, questo gioco è stato spesso criticato in quanto ricalca una visione tutto sommato positivista della Storia, quella della freccia del tempo, del progresso che va in una sola direzione. La stessa idea di una vittoria, quasi essenziale in un gioco, ricalca il vecchio concetto di “fine della storia”, caro a molti storici dell’Ottocento: quel momento in cui tutti i problemi dell’umanità sarebbero stati risolti, e nulla sarebbe più mutato.

Va da sé, quindi, che il videogioco non può essere uno strumento da abbandonare nelle mani degli studenti, ma può essere quell’elemento di novità ottimo per creare attenzione e coinvolgimento. Nel 2021 lo youtuber (e insegnante di lungo corso) Ryan Botting raccontava come aveva implementato l’uso di Civ in un progetto di world history, nella sua scuola in Maine. In una serie di lezioni, si alternavano momenti di gioco (con obiettivi assegnati a gruppi di studenti) a momenti di approfondimento e discussione curati da lui.
Tra mille difficoltà logistiche e di fondi, il risultato era stato quello di creare interesse in una classe poco affine al tema. Il linguaggio del videogioco si era dimostrato, forse, più vicino alla sensibilità dei propri studenti rispetto a una lezione tradizionale. Provo a proporre, come morale finale, un pensiero capovolto: non è tanto il videogioco che va accettato in punta di piedi entro le pratiche educative. Sono le pratiche educative che non possono più ignorare un medium che, secondo le ultime stime, avrebbe superato i tre miliardi di utenti in tutto il mondo.
(Aggiornato al 20 dicembre 2022)