Colombo e l’approdo (involontario) in un nuovo mondo

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È passata mezzanotte: da un paio d’ore ormai il calendario di bordo segna “12 ottobre”. Il trentaseiesimo giorno di navigazione verso Ovest, verso il Catai, la Cina, il grande continente delle Indie. Gli uomini ormai da settimane rumoreggiano: un viaggio estenuante, verso l’ignoto, con speranze di avvistare terra alternate da un dubbio che serpeggia tra la ciurma come un’epidemia: il comandante ha sbagliato i calcoli?

Cristoforo Colombo dormicchia nella sua cabina, dopo l’ennesima giornata passata a rassicurare gli equipaggi di Niña, Pinta e Santa Maria che i segni visti in acqua nei giorni precedenti – giunchi, rami e un fiore secco galleggiante tra le onde – sono chiari indizi della terra che si avvicina. Anche lui però comincia a dubitare.

Un grido squarcia la notte: “terra!” grida Rodrigo de Triana, marinaio della Pinta. I tre equipaggi stremati guardano in lontananza e scorgono il profilo inconfondibile, una striscia collinare più scura, coperta di vegetazione. Al sorgere del sole scoppia la gioia tra gli uomini: eccola, la terraferma, l’India tanto agognata. Il comandante non si sbagliava.

… e invece sì. Colombo sbarca in una baia sabbiosa, mentre alcuni indigeni seminudi gli corrono incontro. Chiede loro come si chiami quella terra ed essi rispondono Guanahani. Dalla sonorità di quella lingua sconosciuta e dal taglio degli occhi dei nativi Colombo pensa di essere arrivato a una delle isole a sud di Cipango, il nome dato dagli spagnoli nel Medioevo al Giappone. Nel dubbio, e ringraziando Dio per aver salvato il suo equipaggio, Colombo ribattezza l’isola “El Salvador”.

Ma tutto quello che in quel momento sostiene la gioia di Cristoforo Colombo e dei suoi uomini è frutto di un enorme malinteso, anzi, di un errore di calcolo grossolano: il marinaio genovese aveva stimato la distanza tra le Canarie, ultimo avamposto spagnolo nell’Atlantico, e il Giappone, in appena 2.400 miglia (circa 4.400 km). Una distanza abbastanza percorribile dalle navi dell’epoca con venti favorevoli. In realtà la distanza, in linea d’aria, è di ben 10.600 miglia, quasi ventimila chilometri.

Questo sbaglio così grossolano, frutto di un’errata lettura delle opere geografiche di Tolomeo, che in realtà avevano stimato la circonferenza terrestre con straordinaria precisione, era già stato sottolineato dai geografi di tutte le corti d’Europa a cui Colombo aveva chiesto aiuti e finanziamenti. Il genovese, più che un navigatore, appare a molti suoi contemporanei un ciarlatano ignorante o, peggio, un imbroglione internazionale.

Quando torna dal suo primo viaggio con ogni sorta di piante, animali esotici e perfino degli indigeni da mostrare alla corte di Ferdinando e Isabella, una buona parte dei suoi detrattori continua a sostenere che il viaggio di Colombo non può essersi concluso nel Cipango. Ma l’evidenza sembra dimostrare il contrario.

Cristoforo Colombo “ammiraglio del mare Oceano”

Colombo viene nominato Almirante, “ammiraglio”, de la mar Océana e Almirante de las Indias, perché è lì, nelle Indie, che sostiene di essere stato. Eppure i resoconti degli altri navigatori parlano di estensioni ben più grandi d’acqua da attraversare per arrivare in India secondo la vecchia rotta, verso l’Africa e l’Est. Qualcuno intuisce la verità: Colombo ha trovato terra a ovest, ma non è quella che stava cercando.

Colombo sbarca per la prima volta in America (quadro del XIX sec. conservato presso il museo navale di Madrid)

Dopo questa prima, grande avventura se ne susseguono altre a stretto giro: a quattro di questi viaggi prende parte lo stesso Colombo, ormai ispanizzato in Cristobal Colòn. Mentre si susseguono le prove di quanto sospettato, e cioè che quella terra sconosciuta sia addirittura un nuovo continente, Colombo invecchia rimanendo della propria convinzione. Muore a Valladolid nel 1506, non più nelle grazie dei sovrani cattolici (la sua grande sponsor, la regina Isabella, muore nel 1504), pieno di rancore per i torti che dice di aver subito in seguito a quel primo viaggio, che comunque per lui non sarà mai una “scoperta”, bensì la prova (falsa) delle sue abilità marinaresche.

La reticenza nel riconoscere il peso di questo primo contatto rallenteranno molto la consapevolezza, da parte dell’establishment iberico, di ciò che era veramente in gioco nel futuro dell’Atlantico. Continuando per anni a cercare civiltà come quella cinese e giapponese con cui commerciare con profitto, gli spagnoli si decidono nel frattempo a sfruttare nel modo più redditizio possibile le terre su cui sbarcano: ricerca d’oro, il grande sogno asiatico, e poi lo sfruttamento della manodopera indigena come schiava.

Cristoforo Colombo, che tutti noi ricordiamo come lo scopritore dell’America, muore convinto di non aver scoperto nessuna nuova terra, ma di aver dimostrato la fattibilità del viaggio. E mentre altri tracciano le coste di queste “nuove indie” che egli si è sempre rifiutato di definire tali, un altro navigatore, fiorentino, nel 1503 conferma con i suoi calcoli e le sue navigazioni che le terre trovate dal collega genovese non sono gli estremi orientali dell’Asia, bensì un Mundus Novus. Grazie a questa espressione a lui verrà concesso l’onore di dare il proprio nome all’intero spezzone di terra che si è posto tra Colombo e i suoi sogni: il fiorentino si chiama Amerigo Vespucci, e America si chiamerà il suo “nuovo mondo”.

La storia della scoperta dell’America nel corso del tempo è stata interpretata in molti modi diversi: è diventata per antonomasia l’inizio della cosiddetta età delle scoperte; ha segnato l’inizio della modernità europea e dell’imperialismo globale bianco. Nel corso del tempo la figura di Colombo è stata contesa a colpi di DNA tra Italia, Spagna (meglio, Aragona) e Portogallo, ed è diventato un simbolo d’orgoglio per gli italoamericani, che ancora oggi il 12 ottobre festeggiano negli Stati Uniti il Columbus Day. La scoperta è stata anche l’inizio di una serie plurisecolare di sopraffazioni, genocidi ed etnocidi che hanno cambiato per sempre l’America e pure il resto del mondo. Oggi la figura di Colombo è stata messa in discussione per via delle implicazioni di questa memoria storica, gettando nuova luce sulle responsabilità europee nella storia mondiale.

L’arrivo di navi spagnole sul continente americano. Scena tratta dal film Apocalypto (Mel Gibson, USA 2006).

Eppure, se si potesse oggi chiedere a Cristoforo Colombo che ne pensa della propria scoperta, probabilmente risponderebbe con rabbia quello che rispose a suo tempo agli scienziati della corte di Spagna e di mezza Europa: che lui non aveva scoperto proprio nulla.

Aveva solo trovato la via più breve per Cipango.

(Aggiornato al 20 dicembre 2024)