Cento anni e non sentirli (i sensi di colpa)

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Non è da tutti riuscire a festeggiare il secolo di vita. Letteralmente nessuno era finora riuscito a farlo con un tour diplomatico che aveva l’obiettivo di riavvicinare le posizioni delle due superpotenze del Ventunesimo secolo.

Classe 1923, l’ancora arzillo ex segretario di stato statunitense Henry Kissinger nel luglio di quest’anno ha incontrato a Pechino il ministro degli esteri cinese Li Shang Fu, che lo ha definito “un vecchio amico”.

Questa visita a sorpresa, in piena crisi dei rapporti tra Cina e Stati Uniti a causa della guerra in Ucraina e delle frizioni su Taiwan, ha riportato ancora una volta sotto i riflettori uno dei personaggi che più ha caratterizzato la politica internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi.

Nato a Fürth, un paesino della Franconia e fuggito con la famiglia negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni naziste, è diventato famoso soprattutto per essere stato il segretario di stato di Richard Nixon, probabilmente il più controverso presidente che gli USA abbiano conosciuto (almeno fino al gennaio 2017). 

Negli anni Settanta Kissinger sembrò colmare il vuoto di carisma e credibilità che scontava il suo presidente, un uomo che prima dello scandalo Watergate era conosciuto soprattutto per essere stato asfaltato, madido di sudore, da un disinvolto J. F. Kennedy in uno dei primi confronti televisivi della storia: una inedita diarchia ai vertici di Washington, che divenne ancora più evidente col successore di Nixon, il di certo non vulcanico Gerald Ford. 

Kissinger fu il volto di un’America tecnocratica, e senza scrupoli, che usciva meno sognatrice e più pragmatica dal decennio delle trasformazioni degli anni Sessanta. Nella sua posizione di numero due della superpotenza nucleare statunitense riuscì a mettere in piedi una strategia internazionale che forzava la teoria dei blocchi della guerra fredda e apriva la strada a uno scenario multipolare: fu soprattutto grazie ai suoi sforzi che gli Stati Uniti si avvicinarono a quella che agli inizi degli anni Settanta era ancora uno stato pariah, la Cina comunista di Mao. 

Fu anche il politico che portò alle estreme conseguenze la cosiddetta “dottrina Monroe” che vede Nord e Sud America come sfera di influenza esclusiva statunitense. E fu proprio nel backyard americano che la visione politica di Kissinger ebbe modo di svilupparsi tragicamente: l’11 settembre 1973, mentre a Oslo si decide di assegnargli il premio Nobel per la pace per via del suo lavoro sul cessate il fuoco in Vietnam, i militari ribelli assaltano il palazzo della Moneda a Santiago del Cile, sicuri del non intervento statunitense. La democrazia è un valore dell’occidente solo se il popolo elegge la gente giusta; d’altra parte, già nell’estate del 1970 mentre si profilava per la prima volta la possibile vittoria della compagine di Allende, Kissinger ebbe a commentare “I don’t see why we need to stand by and watch a country go communist because of the irresponsibility of its own people.”

Nelle sue memorie Kissinger negherà recisamente di aver avuto parte attiva nel golpe di Pinochet, anche se l’amministrazione USA fu tra le prime a riconoscere la nuova dittatura; anche se gli interessi statunitensi vennero prontamente salvaguardati e incrementati dalla giunta militare; anche se Henry e Augusto si davano del tu e anche se Kissinger stesso ammise di aver tentato più volte, tra il 1971, e il ‘73, di destabilizzare il governo democratico del Cile… “ma senza risultati apprezzabili!” affermò. 

@Archivo General Histórico del Ministerio de Relaciones Exteriores

Sarebbe riduttivo però ricordare Kissinger solo per il Cile: negli anni da segretario di stato collezionò l’appoggio incondizionato ai regimi militari anticomunisti in mezzo mondo, gli interventi a favore dei golpisti in Angola e Mozambico, l’assenso dato all’Indonesia per l’invasione di Timor Est. Accanto a questo lo sganciamento degli USA dal Vietnam, la mediazione tra Israele ed Egitto dopo la guerra del Kippur e l’avvio della politica della distensione.

Insomma, un uomo pragmatico che non sembra facilmente etichettabile: le università di mezzo mondo lo hanno insignito di lauree ad honorem e i magistrati di mezzo mondo lo hanno provato a incastrare: famosa la sua “fuga” da Parigi, nel 2001, quando la magistratura transalpina provò a incriminarlo per la morte di alcuni cittadini francesi durante il golpe cileno, a cui lui rispose semplicemente prendendo un aereo per Washington, forte del suo passaporto diplomatico. Piccoli inciampi che non ne scalfiscono l’immagine: nel 2002 George W. Bush lo nomina capo della commissione di indagine sugli attentati dell’11 settembre 2001. Kissinger si dimetterà poco dopo, ma i risultati della commissione saranno utilizzati per supportare l’invasione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti.

Quando, all’inizio degli anni Duemila, la magistratura argentina cercò di portarlo alla sbarra per l’operazione Condor, il piano ideato dalla CIA durante l’amministrazione Nixon per sostenere e consolidare le dittature sudamericane, ci fu chi si chiese, proprio come si era fatto per il suo amico Pinochet, se valeva la pena andare a processare un uomo che aveva passato gli ottanta e forse non era più lucidissimo; a ventidue anni di distanza, mentre “l’uomo poco lucido” continua a giocare un ruolo di primo piano nella geopolitica mondiale, la domanda sulla possibile prescrizione di crimini così efferati lascia il posto all’amara constatazione che un altro grande amico di Kissinger, come lui appassionato di montature di occhiali e come lui scrigno muto di molti segreti del proprio paese, Giulio Andreotti, soleva ripetere a chi gli ricordava lo scorrere del tempo: “il potere logora chi non ce l’ha.”

(Aggiornato al 27 settembre 2023)