«Volare!» cantava a squarciagola nel 1958 Domenico Modugno, incarnando i sogni di un’Italia ancora povera ma pronta ormai a «spiccare il volo». Negli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale le metafore e i riferimenti al volo si sprecano: è il periodo in cui finalmente si comincia a uscire dalle privazioni della guerra, in cui sembra davvero possibile poter realizzare i propri sogni attraverso l’impegno, il lavoro e un po’ di fortuna, magari Oltreoceano. Il paradiso capitalista da raggiungere non più su fumosi piroscafi ma, appunto, volando. Le persone, almeno quelle che definiscono se stesse Primo mondo, si spostano con sempre maggior frequenza, avendo i soldi e il tempo per farlo.
La seconda metà del Novecento, grazie ad alcune fondamentali innovazioni tecniche, vede l’esplosione dell’aviazione commerciale in tutti i maggiori Paesi industrializzati. Glli stati si dotano, o rafforzano, le compagnie pubbliche di trasporto aereo, ribattezzate orgogliosamente «compagnie di bandiera»: nel 1946 nasce La Aerea Italiana Trasporti Nazionali (AITN), dal 1954 Alitalia. E per ogni domanda il primo mondo, il mondo del mercato, è subito pronto a creare un’offerta: il volo civile si apre alla concorrenza tra privati e le nuove compagnie cominciano a contendersi i passeggeri a suon di réclame, mettendosi a caccia dei primi habitué dell’alta quota.
Certo, quando parliamo di aviazione commerciale non dobbiamo pensare alla rivoluzione del volo di massa portata dalle low cost a cavallo degli anni Duemila: volare è comunque un’azione inconsueta e, come tale, spesso ancora temuta.
Per questo sono evidenti due grandi fili conduttori nella presentazione commerciale del concetto di volo per tutta la seconda metà del Novecento: la paura (da esorcizzare) e il sesso (da sottintendere).
Per quanto riguarda la paura, il problema è evidente: gli esseri umani non sono fatti per staccare i piedi da terra, specie dentro rumorose scatole, e a una buona fetta di umanità alzarsi in volo continua a non sembrare «normale». Le immagini che accompagnano le offerte vedono persone ben vestite e sorridenti leggere il giornale o sorseggiare cocktail serviti dal personale di servizio. Ambienti colorati, atmosfere rilassate in cui bimbi giocano a cavalcioni sui sedili, che servono a descrivere un ambiente casalingo, confortevole. La sfida della pubblicità aerea anni Cinquanta è fare del volo una sana abitudine.
Forse è proprio questa necessità di reggere la chiave interpretativa a condannare queste pubblicità ad essere un vero e proprio campionario di stereotipi sociali.
L’atmosfera, per essere «casalinga», deve presentare il quadretto classico della famiglia nucleare degli anni del boom: padre in giacca che legge il giornale fumando sigaro o pipa – ebbene sì, per il suo primo cinquantennio di storia l’aviazione commerciale è un covo di accaniti tabagisti – bambino sognante che scruta le nuvole dall’alto e una mamma che, confortata dalla posa del marito, sembra provare a rilassarsi sorseggiando un alcolico. È proprio la figura femminile la più interessante da osservare in questi primi tentativi di normalizzare l’aria: se c’è qualcuno meno a proprio agio nel volare, più scomposto, più stupito e in qualche caso meno a proprio agio nelle pubblicità delle linee aeree è proprio la passeggera. Evidentemente stupita di non essere morta nel decollo, si guarda attorno ammirando le meraviglie del salotto tecnologico d’alta quota.
Questo espediente, noto ai pubblicitari, è funzionale al passaggio di un messaggio potente e nemmeno troppo sottinteso ai reali fruitori della pubblicità, gli uomini: preoccuparsi per il volo è, in fin dei conti, una cosa da donne. Quindi, maschi, non abbiate paura!
Si sa che la retorica machista permea ogni tipo di pubblicità nel periodo del miracolo economico occidentale, in fondo l’idea è che il portafoglio lo tenga il marito e sue siano le decisioni finali di spesa, ma con le compagnie aeree questo fenomeno diventa esponenziale: i voli aerei per lo più coprono tratte commerciali e sono gli uomini a fare i classici lavori che richiedono spostamenti su lunga distanza. Ed è qui che entra in gioco il sesso, più o meno esplicito. Le cabine degli aerei, nelle pubblicità, diventano il paradiso del sessismo: dalle scene di maschi alfa intenti a sorseggiare amari – oltre a fumare si beve molto in volo, a quanto pare – alla creazione di uno dei più longevi miti erotici del Novecento: la hostess. Bella, giovane, sempre disponibile a un cenno, l’assistente di volo femmina diventa una delle protagoniste dei voli commerciali con tutti gli ammiccamenti del caso. Le compagnie stesse alimentano questo stereotipo: vengono scelte ragazze molto avvenenti e addirittura si cerca di costruire una sorta di offerta mirata. Le compagnie scandinave presentano nelle pubblicità hostess bionde, mentre Alitalia e Iberia privilegiano, ovviamente, i caratteri mediterranei. Il rinnovo periodico delle divise delle hostess Alitalia diventa occasione di sfilate su pista e campagne pubblicitarie mirate: le prime mise della compagnia di bandiera italiana, nel 1950, sono delle esclusive Sorelle Fontana, e nel corso del tempo si succederanno Biagiotti, Renato Balestra, Marzotto, Armani e Cucinelli. Essendo comunque specchio dei tempi, nelle pubblicità delle linee aeree private statunitensi non appaiono hostess nere fino alla seconda metà degli anni Settanta.
Il volo è decisamente una cosa da maschi ricchi, dentro e fuori la pubblicità, almeno fino all’avvento delle low cost e dell’esplosione del turismo aereo mondiale, e in qualche caso anche oltre. Un mondo a parte, in cui conta molto il target che si presuma possa permettersi il biglietto di business class, o quanto meno lo possa sognare, che descrive meglio di altri fattori l’evoluzione di un certo tipo di capitalismo machista che faceva il paio con le esibizioni muscolari delle politiche dei due blocchi della Guerra fredda.
Lo spaccato di un mondo che si descriveva come pronto a «spiccare il volo verso il futuro» ma che nei suoi tratti fondamentali si raccontava come decisamente ancorato ai pregiudizi del passato.
(Aggiornato al 6 luglio 2023)