Eroi o traditori, dall’Irlanda al Trentino

5 min

They took Sir Roger prisoner and they sailed for London Town,
Where in the Tow’r they laid him, as a traitor to the Crown.
Said he, ‘I am no traitor,’ but his trial he had to stand,
for bringing German rifles
to lonely Banna Strand.

Il 3 agosto 1916, l’irredentista irlandese Roger Casement, imprigionato a Londra, viene impiccato con l’accusa di alto tradimento. In piena guerra, con la Gran Bretagna impegnata a combattere gli Imperi centrali a fianco dell’Intesa, Casement ha cercato di far sbarcare sull’isola dei fucili tedeschi da utilizzare in quella che passerà alla storia come la “Rivolta di Pasqua”. Per la Corona britannica questo atto può essere interpretato in un solo modo: un tradimento.

Nato nel 1864 nei dintorni di Dublino, Casement è salito agli onori della cronaca per il suo impegno come rappresentante del British Foreign Office, il Ministero degli Esteri dell’Impero britannico. Inviato nello Stato libero del Congo, territorio di proprietà del sovrano del Belgio Leopoldo II, ha ricevuto l’incarico di avviare un’inchiesta sulle violenze commesse nei confronti della popolazione locale. Da mesi di viaggi e interviste, nel 1904, nasce il Casement report, lucida denuncia delle atrocità compiute dall’impresa privata di Leopoldo, decisivo per spingere l’opinione pubblica internazionale a cambiare lo status del territorio, trasformandolo in una colonia belga. 

È proprio grazie a questa esperienza che il funzionario irlandese ha maturato una nuova visione del mondo, riscoprendo le sue origini. Tornato in patria, in una lettera alla storica Alice Stopford Green, così racconta la sua “conversione” da servitore della Corona e dell’Impero a sostenitore della causa umanitaria e anticoloniale: “When up in those lonely Congo forests where I found Leopold I found also myself, the incorrigible Irishman (nelle isolate foreste del Congo, dove trovai Leopoldo, ritrovai anche me stesso, l’incorreggibile uomo irlandese)”.

Allacciati i rapporti con il nascente partito repubblicano irlandese, lo Sinn Féin, e con importanti personaggi nazionalisti, Casement continua comunque a servire Londra in un’altra missione in Sudamerica. Giunto in Brasile, ripercorre a ritroso il Rio delle Amazzoni portandosi nel cuore del continente. Qui, nella regione peruviana di Putumayo, fotografa in un’altra brillante inchiesta, portata avanti tra il 1910 e il 1911, il disumano sfruttamento delle popolazioni locali da parte dei commercianti di gomma.

Roger Casement durante la missione in Perù (1910) – (fonte: wikipedia)

Tornato nuovamente in patria, decide di dedicare tutti i suoi sforzi alla causa irlandese abbandonando definitivamente il servizio alla Corona. È qui che comincia un’altra storia, quella del cospiratore e del martire per l’Irlanda, conclusa tragicamente con la cattura e l’impiccagione. Imbarcatosi per gli Stati Uniti per reclutare volontari fra la nutrita comunità irlandese, al momento dello scoppio della Grande Guerra, Casement incontra l’ambasciatore tedesco con una proposta di mutuo aiuto: la sollevazione popolare per cacciare gli inglesi dall’isola avrebbe infatti distratto truppe dal fronte occidentale. Due piccioni con una fava, insomma. L’interesse mostrato dai tedeschi lo porta a imbarcarsi nuovamente, questa volta in direzione Berlino.

L’attivismo di Casement, nel mentre, ha destato non pochi sospetti negli uffici diplomatici britannici. Attenzionato dai servizi segreti, nell’autunno del 1914 sulla sua testa pende ormai un mandato di cattura con tanto di sostanziosa taglia. Giunto in Germania attraverso la neutrale Norvegia, tenta di trovare volontari facendo opera di proselitismo fra i soldati irlandesi fatti prigionieri dall’esercito di Guglielmo II. Nel suo soggiorno tedesco, cerca inoltre (vanamente) di organizzare un corpo di resistenza indiano affinché si accenda un focolaio di rivolta nella lontana colonia, “gioiello” della Corona britannica. 

Mancano pochi giorni allo scoppio della “rivolta di Pasqua”, quando Casement salpa finalmente in direzione della propria isola. Su un altro bastimento, battente bandiera norvegese, sarebbe dovuto giungere un carico di armi tedesche, da sbarcare sulla spiaggia atlantica di Banna Strand. Il carico viene però intercettato dalla Royal Navy e Casement catturato a pochi chilometri da lì. 

Comincia allora un lungo processo, mentre fuori dall’aula, su spinta delle autorità britanniche, prende avvio una campagna denigratoria tesa a gettargli addosso il maggior discredito. Come? Addossandogli l’ “infamia”, così considerata nella puritana Inghilterra come nella cattolicissima Irlanda, di essere un omosessuale – sull’omosessualità di Casement, raccontata nei suoi Black diaries, tuttora si discute. Il 3 agosto, infine, l’impiccagione. 

Francobolli commemorativi per il cinquantesimo anniversario dell’impiccagione di Roger Casement (1966) – (fonte: wikipedia)

Eroe per la causa irlandese (e per i tedeschi), traditore per l’Inghilterra: la memoria di Casement, i cui resti vengono  riportati a Dublino, con tutti gli onori del caso, solo nel 1965, viene così avviata verso questo destino manicheo. Un destino magistralmente illustrato in un breve romanzo a puntate, Il congresso dei morti, pubblicato nel 1919 sulle pagine del giornale L’ordine nuovo a firma dello scrittore e filosofo Zino Zini, e che lo accomuna a un personaggio tanto discusso nel dibattito locale trentino: Cesare Battisti.

In un macabro scenario d’oltretomba, a fronte dell’affollamento imprevisto del mondo dei morti causato dalla Grande Guerra, una circolare comincia a girare invitando i caduti “senza esclusione di tempo, di paese, di stirpe” a riunirsi in congresso, “in discussione la questione capitale della responsabilità in materia di morte intenzionale o violenta, individualmente o collettivamente perpetrata”. Per questo “si desidera pure la presenza di coloro che maggiormente concorsero a provocarla o esercitarono l’omicidio a titolo pubblico e privato”. Insomma: un processo degli ammazzati agli ammazzatori, dei massacrati ai massacratori, delle vittime ai carnefici. Alla sbarra, uno dopo l’altro, si susseguono condottieri e monarchi. Caino per primo, e poi tra gli altri Attila, Alessandro Magno, Torquemada, Napoleone. A un certo punto, nel consesso, si fa strada una strana coppia che si tiene per mano. Tutti e due portano sul collo i segni recenti del capestro. Rivolgendosi alla folla, si presentano: “Siamo un po’ come i fratelli Siamesi della forca. Forse voi non ci conoscete. Ebbene in questo caso, permettete che ci presentiamo da noi: io sono l’irredentista irlandese Casement, e questi è l’irredentista italiano Battisti”. 

“La nostra storia è assolutamente identica; ma guardate un po’ come è strano il nostro destino. Quelli che hanno impiccato me, dicono ch’io sono un furfante e che questo mio compagno è un eroe; quelli invece ch’hanno impiccato lui, proclamano che l’eroe sono io e che lui è il furfante. Ed ora vedete se vi riesce di capirne qualche cosa. E il più bello è che tanto lui quanto io abbiamo fatto la stessa identica cosa, per cui a rigor di logica o tutti e due furfanti o tutti due eroi. A meno che non si voglia fare una sottile distinzione tra una cravatta di canape inglese ed un analogo collare austriaco della stessa materia, mi pare difficile risolvere la questione. Non resterebbe altro che concludere: delitto, martirio, parole a doppio uso, verità al di qua e al di là dei Pirenei, come diceva Pascal; pochi gradi di longitudine o di latitudine bastano a invertire il giudizio degli uomini!”.

Bozzetto del quadro “Il martirio di Cesare Battisti” (1936) di Augusto Colombo – (Credits to Fondazione Museo storico del Trentino)

Martirio, eroismo, tradimento: le memorie dei gruppi o dei popoli sono gremite di figure a cui si attribuisce questa o quell’etichetta. Un’etichetta che, ci dice Zini, non riflette altro che una prospettiva determinata da fattori aleatori. Eroismo e tradimento sono pertanto due facce della stessa medaglia. 

(Aggiornato al 18 aprile 2024)