Siamo il popolo del Dantedì e l’erede di un patrimonio culturale vertiginoso. E, allo stesso tempo, siamo un popolo che frequenta pochissimo i suoi tesori, con grandi potenzialità e spaventose lacune.
Per comprendere la nuova comunicazione culturale e storica – ma soprattutto per farla – bisogna guardare non solo a chi confeziona i vari messaggi – agli history influencer per capirci – ma anche a chi questi contenuti sono rivolti.
Occorre guardare ai pubblici o ai target, che dir si voglia: non è facile, ma è necessario per evitare di parlarsi addosso e di essere autoreferenziali.
Con questo obbiettivo, ci sono diverse ricerche a cui si può guardare.
I laureati sono la metà della media europea
Nel 2018 l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato un Rapporto sulla conoscenza in Italia. In quella relazione si riportava, assieme a molti altri, un dato impietoso.
Nel 2016 la popolazione adulta italiana tra i 25 e i 64 anni con almeno un titolo di scuola secondaria superiore era del 60,1% con un risultato leggermente migliore delle donne rispetto agli uomini. Un dato che magari in assoluto non dice molto, ma parla tanto se confrontato con la media europea: il risultato italiano è inferiore a questa del 16,8%.
Se consideriamo poi la popolazione in possesso di un titolo terziario (laurea o maggiore) la percentuale italiana si attesta al 17,7% quasi la metà della media europea che è del 30,7%.
Nel nostro paese si riscontra, è vero, una grande disparità per area geografica: buona notizia per alcune zone del Paese, pessima per altre che evidentemente si collocano molto al di sotto della media.
Scarsi in matematica
Ma per non fermarsi solo ai titoli di istruzione, si deve guardare alle competenze acquisite.
Il monitoraggio PISA (Programme for international student assessment) dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) è stato realizzato nel 2015 e nel 2018 per rilevare le competenze di studentesse e studenti. Con questo metodo sono state stimate le abilità in tre ambiti: lettura, matematica e scienze. In entrambe le rilevazioni i dati sono risultati nel complesso inferiori – anche se non in maniera drastica – alla media europea, in particolare in ambito scientifico. Non solo, i risultati del 2018 sono in calo rispetto a quelli del 2015. Anche in questo caso si possono identificare grandi differenze all’interno del Paese.
Apprendimenti non adeguati per vivere e lavorare efficacemente
C’è poi un altro dato che vale la pena considerare e questa volta è davvero allarmante. È da prendere un po’ con le pinze perché fa riferimento ad una raccolta dati del 2012 mentre una nuova rilevazione sullo stesso tema e in corso in questo periodo. Si tratta del programma PIAAC (Programme for the international assessment of adult competencies) dell’OCSE che ha stimato conoscenze e competenze tra gli adulti.
Secondo questa rilevazione l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i paesi che hanno partecipato per competenze linguistiche e al penultimo per abilità numeriche. Su questo risultato influiscono molto le competenze molto basse possedute dalla popolazione più anziana del campione, mentre un po’ meglio va a quella più giovane. Comunque la maggioranza del campione italiano testato si colloca ad un “livello 2, inferiore al “livello 3” considerato la base per vivere e lavorare efficacemente.
Sarà interessante vedere l’esito della raccolta dati più recente.
Ma c’è voglia di formazione informale e non formale
Questi dati restituiscono un quadro pesante ma piuttosto chiaro: le competenze e le conoscenze finora acquisite dagli italiani attraverso il sistema di istruzione non sono soddisfacenti.
Ci sono però anche ampi margini di miglioramento e spiragli su cui vale senz’altro la pena soffermarsi.
Nel già citato Rapporto sulla conoscenza in Italia del 2018 si specifica che da noi, come altrove, esiste una corposa attività di formazione degli adulti definita informale e non formale. Con informale si intendono quegli apprendimenti acquisiti nella pratica della vita quotidiana o del lavoro, mentre non formali sono i seminari e i corsi di aggiornamento esterni al sistema di istruzione tradizionale.
In Italia, ha partecipato almeno una volta all’anno ad attività di formazione non formali il 40,6% del campione nel 2016, un dato in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2011. All’interno di questi apprendimenti, le attività in ambito artistico e nelle scienze umane sono il 10%, ma salgono al 27,6% nel novero di corsi scelti per fini personali e non lavorativi.
L’accesso ad internet è diffuso (ma non abbastanza)
Un altro dato da considerare è quello relativo all’uso dei computer. La media europea di coloro che lo utilizzano quotidianamente si attestava nel 2017 al 64% ma con un’ampia forbice che andava dall’80% del Nord Europa a cifre molto inferiori nei paesi del Sud Europa, con l’Italia che si collocava al 52%.
Se poi guardiamo ad internet, le persone che in Italia ne facevano un uso regolare, almeno una volta alla settimana era il 69% della popolazione adulta, una percentuale che è certamente cresciuta negli ultimi anni, anche grazie alla massiccia diffusione di dispositivi mobili.
Lacune e potenzialità
Cosa mostrano questi dati? Una situazione critica certamente, con lacune pesanti da recuperare, un paese spaccato anche a livello di formazione. A voler vedere però il lato positivo, non mancano le potenzialità. Gli italiani adulti sono abituati ad accedere a contenuti di formazione non formali, hanno una discreta disponibilità di computer e dimestichezza con internet. Tutti elementi ancor più evidenti se si considera la popolazione in età scolastica.
Si tratta di precondizioni preziose per immaginare una divulgazione storica e in senso più ampio culturale in grado di utilizzare questi canali e i linguaggi che essi richiedono. A patto di non dimenticarsi mai del soggetto più importante di ogni comunicazione, quello a cui stiamo parlando.
(Aggiornato al 1 aprile 2022)