«Una macchina nuova: la famosa PE-DA-LI-NA. 100 copie al minuto… Don Antonio un fenomeno!». Così Peppino descrive a Totò il modello di stampatrice a pedale con cui fabbricheranno banconote false nel film La banda degli onesti (1956). Quel tipo di macchina è un pezzo forte di diversi musei italiani dedicati all’arte della stampa come il Museo Civico della Stampa di Mondovì, La Fabbrica delle parole al Convitto Palmieri di Lecce, il Museo della Carta e della Filigrana a Fabriano, il Museo della Stampa e Stampa d’Arte a Lodi. Oggetto massiccio dal nome parlante (servivano sei pedalate per ottenere la riproduzione di una pagina), la “pedalina” ha il valore dell’artefatto che incuriosisce per il suo funzionamento e che aiuta a raccontare un pezzo di storia della tecnica o di vita in una officina di stampa. Qui vengono organizzati spesso anche laboratori e workshop creativi che trasformano questi spazi in “musei del fare”, per riprendere la definizione che dà di sé la Tipoteca, il Museo della Stampa e del Design Tipografico in provincia di Treviso.
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Ma se varchiamo la soglia di altri musei storici, ecco che quello stesso oggetto ci si para davanti come simbolo della libertà di stampa. Perché la stampa “clandestina”, che comprende giornali, manifesti, opuscoli e fogli volanti, è stata un’arma potente dell’opposizione antifascista e della Resistenza. Chi se ne incaricò, recuperando la carta, stampando i materiali antifascisti, nascondendoli in grossi sacchi o in valigie a doppio fondo, e infine distribuendoli coraggiosamente tra la popolazione – come fecero le giovani staffette – finì perseguitato e condannato o più spesso, durante i mesi dell’occupazione nazista, catturato e ucciso. Le storie di quegli uomini e quelle donne, i loro destini e le loro fughe, le parole contenute ne l’Unità e Il Garibaldino, gli appelli alla cittadinanza affinché partecipasse alla lotta di liberazione («Eravamo pochi, siamo tanti, dobbiamo essere tutti») rivivono attraverso queste macchine, arrivate negli spazi museali in modi e tempi che a loro volta sono un’altra storia. A Rovereto è la Tipografia Mercurio a regalare al Museo della Guerra, nel 2010, la sua prima macchina da stampa: la Platina “Ideale Nebbiolo”, una delle più antiche di questo genere in Italia. Il fondatore della tipografia, il socialista e irredentista Ferruccio Zamboni, aiutò Angelo Bettini, avvocato socialista assassinato dai tedeschi nel giugno del 1944, nella stampa di volantini clandestini; anni prima aveva stampato il famoso Libro Imbullonato dell’amico Fortunato Depero. Nei mesi della Resistenza capitò anche che le pedaline venissero spostate più volte, tra scantinati e buche di fortuna, e che poi restassero in “clandestinità” fino alla liberazione e oltre. Come quella conservata ed esposta ad Alfonsine, al Museo della Battaglia del Senio, recuperata in una buca sotto il pagliaio di una casa e poi venduta alla Tipografia Aramini di Conselice. O come la macchina ritrovata a metà degli anni settanta, un po’ inaspettatamente, nello scantinato del Museo del Risorgimento di Parma: due commercianti l’avevano smontata e trasportata a pezzi dentro alcune casse usate per il commercio delle anguille (entrambe queste storie sono riferite da Laura Orlandini in “Le parole nascoste nell’argine”, in La resistenza degli oggetti, Biblion 2024).
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Intera invece, e padrona di uno spazio significativo, è la rara macchina a pedale esposta al Museo Diffuso della Resistenza del Polo del ‘900. Sia questo che l’altro oggetto presente fin dall’inizio nell’allestimento torinese, una delle sedie usate per le esecuzioni capitali al poligono del Martinetto, creano intorno a sè un’aura quasi sacrale che cattura immediatamente lo sguardo di chi visita e suggerisce in qualche modo silenzio. Lo stesso del resto che consentiva una macchina tipografica con funzionamento a pedale. Anche a Casa Cervi, oggi Museo alla memoria dei sette fratelli fucilati dai fascisti nel dicembre del 1943, si è scelto di posizionare in una sala con una limitata presenza di oggetti la voluminosa pedalina, non appartenuta alla famiglia ma al tempo acquistata dalla Federazione comunista reggiana e nascosta in una casa di mezzadri. Se nel 2025 intorno alla macchina ruoterà un progetto didattico di scrittura creativa rivolto alle scuole secondarie, è per il pubblico meno tecnologico che viene pensato, durante i mesi della pandemia, un giornalino graficamente simile ai fogli clandestini della Resistenza: si intitola Il Ribelle dei Campirossi e come nelle migliori tradizioni, “esce come e quando può” distribuito gratuitamente nelle edicole e librerie del territorio, oltre che in digitale (www.istitutocervi.it/ribelle-campirossi#1663771164856-a1fde67b-a8d2).
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La “pedalina clandestina” non è stata solo musealizzata ma anche monumentalizzata. A Conselice, in provincia di Ravenna, dentro una grande teca si trova l’unico monumento in Italia dedicato alla libertà di stampa e alla stampa clandestina: al centro, proprio una macchina tipografica a pedale del tutto simile a quelle descritte. Qui, ogni primo ottobre dal 2006, si celebra uno dei diritti fondamentali di ogni democrazia e si ricordano i quattro partigiani della 28° brigata Garibaldi “Mario Gordini” fucilati al poligono di tiro di Bologna. Sono Pio Farina, Egidio Totti, Cesare Gaiba, Giovanni Quarantini e poche ore prima del rastrellamento, a Villa Serraglio, stavano preparando materiale di propaganda antifascista con una pedalina nascosta in un camioncino.
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“Uccidete pure me, ma non ucciderete mai le idee che sono in me” disse Giacomo Matteotti. Se l’antifascismo è arrivato fino a noi lo dobbiamo anche a queste macchine, che ne hanno tramandato la cultura, i valori e un’idea di libertà a tutti i costi, anzi, a colpi di pedale.
(Aggiornato al 26 settembre 2024)