Flying music: tra sogni e paure

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Burritos volanti, dirigibili, razzi, voli di linea che fendono le nuvole o le sorvolano, e tanti, tanti volatili d’ogni tipo. Volare o semplicemente immaginarsi di volare è un tema che da sempre affascina gli artisti. Non è un caso che anche il mondo della popular music sia carico di riferimenti nei testi come nelle copertine degli album. Da Modugno a un noto trio di tenori, da parte sua la canzone italiana certo non si è sottratta a questa fascinazione. Anzi, ne ha fatto un manifesto: successo straordinario (vinse il Festival di Sanremo del 1958), Nel blu dipinto di blu rappresentò uno spartiacque nella storia della musica italiana contemporanea, pietra miliare imprescindibile con cui confrontarsi ed esemplare espressione, nell’immaginario collettivo nazionale sul “Belpaese”, di italianità. 

Eppure l’immaginario del volo non è solo collegato alla leggerezza e alla spensieratezza caratteristiche dello stereotipo italiano. E per fortuna, si potrebbe dire. Tralasciando la musica classica, colma di riferimenti mitologici, da Fetonte a bordo del carro trainato da cavalli alati al volo di Icaro, come di attrazioni varie per mongolfiere, dirigibili e albori dell’aviazione, mirabolanti novità d’una modernità arrembante, in tempi più recenti assistiamo a un moltiplicarsi di richiami. Il cielo è luogo di approdo per le immaginazioni, spazio in cui librarsi e vagare. Ma non solo: è spazio da attraversare, più su verso il cosmo e le stelle. 

È il caso della psichedelia, in cui il cosmo diviene meta da raggiungere, con le tastiere e le chitarre come con il ricorso alle droghe lisergiche. Nel ’67 escono tra le altre Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles, Interstellar Overdrive e Astronomy Domine dei Pink Floyd (entrambi contenuti nell’album The Piper at the Gates of Dawn). Due anni dopo, a fare da colonna sonora allo sbarco dell’Apollo 13 sulla luna c’è David Bowie che canta Space Oddity, mentre nel 1970 Tim Buckley fa uscire l’album “Starsailor”, letteralmente “il marinaio delle stelle”. Ammaliati dalla fantascienza e imbottiti di acidi, proprio a cavallo del nuovo decennio, numerosi artisti si lanciano a razzo nello spazio inaugurando un genere musicale battezzato proprio “Space rock”.

Se il cielo e il volare evocano temi come la libertà o il sogno, al di sopra dell’atmosfera non corrisponde un immaginario altrettanto idilliaco. Le barriere crollano sì, le menti abbandonano il mondo terreno, ma a veicolare questi viaggi sono soprattutto le droghe. Con le loro conseguenze a lungo termine di distruzione e isolamento. Basti pensare al protagonista assoluto dei primi Pink Floyd, quel Syd Barrett allontanato dal gruppo proprio per il suo abuso di sostanze ma comunque teneramente omaggiato dai suoi compagni di band. La nostalgia per la terra, in cui mantenere ben ancorati i piedi, echeggia anche in un grande successo pop come Rocket man di Elton John. Era il 1972.

Nel decennio successivo, abbandonati i deliri lisergici, sono gli aerei di linea a fare la loro comparsa sempre più ingombrante sulle copertine degli album. È da poco cominciato il 1979 quando da un finestrino di un Boeing intravediamo un curioso skyline newyorchese fatto di tazze e tazzine da colazione. In primo piano, una cameriera porta su un vassoio un bicchiere di spremuta d’arancia. Si tratta dell’album Breakfast in America dei Supertramp. Ma gli aerei, e di conseguenza gli aeroporti, non sono solo un “luogo” che unisce o divide le persone, uno straordinario mezzo che ci permette di osservare dalle finestre, al sicuro, il mondo ovattato delle nuvole. Cacciabombardieri e velivoli militari divengono argomento privilegiato dell’immaginario “metallaro”, talvolta per la semplice attrazione verso la potenza della tecnologia, talvolta per quella ben più macabra verso la distruzione che può portare.

Copertina di Breakfast in America dei Supertramp

Come spesso accade, dunque, fascino e paura si mescolano in un crogiuolo di sentimenti. L’attenzione alla tecnologia, vista come un’opportunità per il progresso dell’umanità e al tempo stesso come la causa probabile della sua stessa distruzione, non cancella però la tensione mai scomparsa verso lo spiccare il volo. L’uomo continua a immaginarsi di poter librare le ali, sogna di poter toccare il cielo con un dito. Perché in fondo, come cantava R. Kelly nel 1996, per volare basta crederci. 

(Aggiornato al 6 luglio 2023)