1. Un uomo tranquillo (The Quiet Man, John Ford, 1952)
Non si può prescindere da questo film, pur non essendo irlandese, perché ha avuto un impatto fortissimo sulla storia del cinema dell’Isola. John Ford era già un regista famosissimo per i suoi western (Ombre rosse è del 1939). Il suo è uno pseudonimo, aveva radici irlandesi: ha un nome Irish (all’anagrafe si chiama Sean che è la versione gaelica di John) perché i genitori erano arrivati negli Stati Uniti entrambi dalla contea di Galway, la mamma addirittura dalle Isole Aran e parlava solo irlandese quando emigrò. La storia è quella di un pugile, interpretato da John Wayne, che durante un incontro uccide senza volerlo un avversario; preso dai sensi di colpa e con la carriera rovinata, decide di fare un viaggio nel paese d’origine della madre nel nord dell’Irlanda (confesso di essere stato “in pellegrinaggio” nelle location!). L’Irlanda che ne esce è fordiana, quindi mitica, come il west: le problematiche dell’Irlanda rurale degli anni cinquanta sono totalmente assenti o trasformate in valori positivi. Per questo molti intellettuali irlandesi oggi stigmatizzano questo film perché vedono il rischio che possa trasformare l’immagine dell’Irlanda in folklore.
Una scena? Quella in cui si baciano per la prima volta in uno scenario naturale impetuoso. Il connubio tra la straordinaria Maureen O’Hara e John Wayne è scintillante. Ed è anche uno dei motivi del successo di questa commedia sentimentale.
2. Il campo (The field, Jim Sheridan, 1990)
Entriamo nel periodo in cui il cinema irlandese inizia ad avere una sua identità, nonostante questa sia ancora una coproduzione con il Regno Unito. Tratto da un dramma teatrale e diretto da uno dei più famosi registi irlandesi di sempre (il suo film successivo sarà Nel nome del padre), è il corrispettivo irlandese della novella La roba di Giovanni Verga. Siamo sempre nel nord-ovest dell’Irlanda – rimarco la collocazione geografica perché queste sono le cosiddette Gaeltacht, le zone in cui ancora si parla irlandese – in una famiglia dominata da questo patriarca che tutti chiamano Bull (toro), interpretato da Richard Harris in una delle sue ultime grandiose interpretazioni. La vendita all’asta di questo pezzo di terra scatena l’ossessione del protagonista…
Perché questa scelta? Perché è un film poco conosciuto in Italia. Ed è minimale, quasi materico, fatto dell’estetica tipica di un certo cinema irlandese che arriva proprio dalla wilderness, da questo rapporto tra gli individui, le comunità e la terra, con tutto quello che ne consegue in termini di proprietà, lavoro, senso di appartenenza.
3. Michael Collins (Neil Jordan, 1996)
Ha vinto il Leone d’Oro per il miglior film al festival del cinema di Venezia, un premio che accende finalmente una lampadina sull’Isola e sulla sua produzione cinematografica. È un film biografico, quasi un kolossal, dura due ore e venti: Michael Collins è stato un eroe dell’indipendenza irlandese dalla Gran Bretagna ma anche colui che pose le basi affinché il neo proclamato governo della Repubblica Irlandese accettasse un patto, per alcuni scellerato, di dividere il Paese, con sei contee che restano sotto la giurisdizione del Regno Unito. È un eroe controverso quindi e la sua uccisione, nel 1922, porterà in qualche modo allo scoppio di una nuova guerra civile all’interno del Paese. Il film di fatto racconta l’origine di quell’enorme problema che, con un eufemismo da humour britannico, è stato definito i troubles, 30 anni di scontri tra protestanti e cattolici, tra repubblicani e unionisti, e più di 3000 morti, di cui 500 solo nel 1972. Una ferita che il cinema ha più volte raccontato…
Segni particolari? Il film ci abitua per la prima volta a un cast tutto irlandese (a parte Julia Roberts!): Liam Neeson, Aidan Queen, Brendan Gleeson, Stephen Rea, Jonathan Rhys-Meyers.
4. The General (John Boorman, 1998)
Il regista, britannico ma che aveva deciso da anni di vivere in Irlanda, lo conoscete tutti: è quello di Un tranquillo weekend di paura (1972) e di Excalibur (1981). Lo cito perché oltre a essere un film tutto girato a Dublino e di produzione irlandese, ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes ed è uno dei migliori di Boorman, girato tutto in bianco e nero, quasi espressionista, con un commento musicale molto contemporaneo. Anche in questo caso si tratta di una biografia: Brendan Gleeson interpreta infatti Martin Cahill, una sorta di rapinatore gentiluomo, un boss della malavita conosciuto appunto come Il Generale, mentre Jon Voigh veste i panni del poliziotto che gli dà la caccia, un po’ come Ginko con Diabolik.
In cosa è più Irish? L’avevamo già visto negli anni cinquanta in Un uomo tranquillo e lo ritroviamo qua: anche quando il film è drammatico si trovano momenti di grande commedia umana.
5. Il viaggio (The Journey, Nick Hamm, 2016)
Inizia con le immagini di repertorio di alcuni momenti devastanti dei troubles e racconta dell’accordo che porterà al processo di pace, o meglio del momento in cui si incontrano i due protagonisti fisici del conflitto, il reverendo Ian Paisley e il repubblicano Martin McGuinness. Nemici giurati, il film mostra le “manipolazioni” fatte in modo che i due trovassero un punto di contatto umano prima ancora che politico, affinché cominciassero a parlarsi. Questo film racconta qualcosa che sembra impossibile.
Maggior pregio? La bellezza del testo, c’è una bellissima sceneggiatura, e la bravura dei due attori, Timothy Spall e Colm Meaney.
Menzione speciale: alla seconda visione: Belfast (Kenneth Branagh, 2021)
All’inizio non l’avevo amato molto devo dire, poi l’ho rivisto e rivalutato. Branagh è irlandese e la storia del film è la sua storia: quella di un bambino che nel fiore della sua adolescenza è costretto a partire per andare in Inghilterra perché il padre si sente minacciato dai troubles.
Mauro Gervasini
Firma storica del settimanale Film Tv, che ha diretto dal 2013 al 2017, è consulente selezionatore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e insegna Generi cinematografici all’Università degli studi dell’Insubria. Autore di Se continua così – Cinema e fantascienza distopica (2022), Cuore e acciaio – Le arti marziali al cinema (2019) e della prima monografia italiana dedicata al polar (Cinema poliziesco francese, 2003), ha pubblicato vari saggi in libri collettivi, in particolare su cinema francese e di genere.
(Aggiornato al 18 aprile 2024)