Indovina chi porta i regali? Dai re magi alla befana fascista

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“Il dono è un vincolo, un obbligo sociale, non è disinteresse.”
Non occorre certo scomodare la celeberrima definizione coniata da Marcel Mauss, Saggio sul dono, una pietra miliare dell’antropologia che proprio in questi giorni festeggia il secolo di vita (la prima edizione esce su Année Sociologique serie II, 1923-’24) per comprendere quale sia il peso sociale dei regali. 

Basta varcare la soglia di un qualsiasi centro commerciale in questi affannosi giorni prenatalizi per imbattersi in torme dantesche di disperati alla ricerca del ninnolo giusto, dell’omaggio azzeccato o, più semplicemente, di un “qualcosa” che possa alleviare la nostra ansia sociale e stornare da noi il biasimo per il consueto “regalo sbagliato”. Un’ansia che attanaglia tutti indistintamente, ma chi ha a che fare con dei bambini di più. Perché, mentre il sottaciuto contratto sociale vincola più o meno saldamente una gran parte degli adulti a un patto di omertà circa la totale inadeguatezza e insoddisfazione provocata dall’ennesima trousse a forma di coccinella o la fornitura industriale di shampoo e prodotti da bagno , per quanto riguarda i bambini e la loro proverbiale e mai a sufficienza criticata sincerità un regalo sbagliato è, semplicemente, un regalo sbagliato.

Forse è questo il motivo per cui, a differenza di ricorrenze sociali tra adulti, come anniversari o celebrazioni di vita sociale,, in molte culture, su tutte quella occidentale, una buona parte delle occasioni di dono a i più piccoli è stata “subappaltata” ad entità esterne non solo al contesto familiare, ma addirittura terreno.

Gentile da Fabriano, L’adorazione dei magi (1423)

“In principio furono i magi”. Benché la tradizione dei doni all’interno delle pratiche cultuali sia antica e ben radicata nella maggior parte delle culture, la tradizione cristiana è solita far risalire l’usanza del dono “esterno” al contesto di comunità risalendo all’episodio evangelico dei re magi che portano i doni a Gesù neonato. Isolato dai suoi significati sacri più pregnanti (doni che richiamano, già all’atto della nascita, la morte e il sacrificio) l’atto di un regalo che provenga “da fuori” e arricchisca un momento importante nella vita di un bambino si è consolidato nei secoli come pratica consuetudinaria di celebrazione di momenti che devono risultare “altri” rispetto al quotidiano. Ed è in parte attorno a questo cliché che si sono formati, nel corso del tempo, le figure di molti “regalatori” del mondo occidentale.

Per secoli l’idea che un intervento esterno portasse un conforto fisico che ricordasse a tutti, e ai bambini in particolare, la particolarità di un dato momento, è stato collegato a momenti conviviali: in una società sempre in bilico sull’orlo della sussistenza i “regali” sono costituiti per lo più da dolci e succulente variazioni nel monotono menù quotidiano. Solo quando, tra Sette e Ottocento, in Europa viene letteralmente inventato il concetto di infanzia, assistiamo allo sviluppo del dono specifico per bambini in un’età in cui, grazie alla rivoluzione industriale, una parte ancora molto ristretta ma in continua espansione della società europea comincia a non trovare più eccezionale mangiare dolci più di una volta l’anno. Nell’Ottocento, mentre Dickens racconta della squallida vita dei figli del sottoproletariato, nelle case borghesi di tutta Europa cominciano ad arrivare i primi regali per le occasioni speciali, e a portarli, scaricando i genitori di incombenze e responsabilità, è una serie di personaggi via via più bizzarri.

Natale non è mai stato il regno incontrastato di Babbo Natale, tutt’altro. Come visto altrove in questo numero, l’arzillo vegliardo vestito di rosso è sapiente prodotto di una campagna pubblicitaria degli anni Trenta. Il periodo natalizio è terreno di scontro ideologico per molti, agguerriti donatori.

Una grande fetta di occidente, in particolare di ambito cattolico, identifica ad esempio il portatore dei regali ai bambini buoni con lo stesso Gesù, ovviamente, in quel momento dell’anno, appena venuto al mondo; è Gesù bambino, il neonato salvatore, che ribaltando il cliché evangelico  si fa portatore di doni ai bambini. Un cambiamento prospettico che nei paesi cattolici ha la funzione sociale di legare ancor di più i piccoli al calendario sacro e che nel corso dei secoli ha soppiantato come festa più sentita quello che era originariamente l’apice dell’anno liturgico, vale a dire Pasqua.
In alcuni paesi però gli “inventori del format” dei regali ai piccoli tengono ancora duro. In Spagna e in alcuni altri paesi di cultura neolatina Los Reyes Magos, i Re Magi, continuano nella loro opera portando ai bimbi buoni dei regali il 6 gennaio, giorno dell’Epifania. Ma non sono gli unici a lavorare fuori dal 25 dicembre: alcuni santi hanno l’abitudine di portare essi stessi doni ai bambini buoni. Santa Lucia, martire patrona dei ciechi ed erede di millenari culti del solstizio, durante il giorno più corto dell’anno, tra il 12 e il 13 dicembre, porta doni beneauguranti ai più piccoli, iniziando idealmente l’anno nuovo. In molti luoghi, tra cui alcune valli del Trentino, a Santa Lucia i bambini scrivono una lettera perorando la loro causa e facendo un elenco di tutti i regali che si desiderano, permettendo alla santa di azzeccare i gusti dei più piccoli. Ancora prima di Santa Lucia, a calendario, abbiamo San Nicola, vescovo che il 6 dicembre con modalità simili porta doni ai bimbi di buona parte del mondo tedesco; è alla sua figura che Coca Cola e altri si sono ispirati per la costruzione del mito di Babbo Natale, con cui il santo di Bari ha condiviso per lungo tempo vestiti e barba candida. Simile a lui (in fondo facevano lo stesso lavoro) San Basilio, che in Grecia il primo dell’anno porta regali ai bambini buoni. Un’immagine tanto forte da essere letteralmente copiata anche dal più grande regime ateo del Novecento: nei paesi del blocco Sovietico Ded Moroz, Nonno Gelo, un vecchio barbuto con paramenti a metà tra il boiardo dei Romanov e un santo ortodosso, porta i doni del mondo comunista. 

Cartolina sovietica anni Sessanta “Ded Moroz”

E non è l’unico a tentare di fare concorrenza, da fuori, alla potente macchina del dono cristiana. Il fascismo italiano rispolvera “la befana fascista”, una vecchierella di origini addirittura precristiane che però a partire dal 6 gennaio 1928 viene vestita in camicia nera e arruolata per portare ai bimbi buoni, cioè a quelli fascisti, regali stampigliati col fascio littorio. La Befana fu poi una delle poche in Italia a passare attraverso un serio processo di defascistizzazione, tanto da poter riprendere l’attività anche sotto regime repubblicano e democratico portando regali e dolci ai bimbi, che possono essere buoni anche al di là di particolari connotazioni politiche.

Ma non è solo il periodo natalizio ad aver stimolato l’esplosione consumistica dell’idea di regalo. Ai bambini giungono doni anche in altri momenti dell’anno, portati da strani personaggi. Pasqua cerca di rifarsi  prendendo a prestito tradizioni da culti precristiani. Ecco quindi che in alcuni paesi d’Europa il Coniglietto di Pasqua, che solitamente dissemina uova colorate nei prati come piccoli regali, ha finito per portare uova di cioccolato sempre più ingombranti e piene di ogni tipo di sorpresa. Tra gli animali “donatori d’occasione” spicca il Topolino dei denti, che porta denaro o piccoli giocattoli ai bimbi che hanno “il merito” di perdere i denti da latte. Una tradizione che unisce il concetto rituale di passaggio a quello economico di traguardo raggiunto. In alcuni paesi il Topolino è sostituito da una Fatina, una piccola e attenta erede delle ninfe dei boschi intrecciate con la tradizione disneyana. Cosa il Topolino e la Fatina facciano di questi piccoli trofei composti da resti umani non è però generalmente dato sapere.

Piero della Francesca, Santa Apollonia (1455) a cui si ispira l’iconografia della fatina dei denti

Insomma, la concorrenza a Babbo Natale è antica e agguerrita e si estende al di là degli stretti confini del 25 dicembre. Eventi dal carattere sempre più consumistico in cui si intrecciano tradizioni provenienti da ogni angolo del pianeta il cui fine ultimo è, evidentemente l’acquisto, ma che nascondono una valvola di sfogo potente e utilissima che permette di sorreggere il vincolo sociale di cui parlava Mauss e che tutte e tutti noi, presi nel vortice delle feste, ben conosciamo, cioè quella che permette di esclamare, tra un fiocco ammosciato e una carta colorata ridotta in brandelli, “se non è quel che volevi non è mica colpa mia…

(Aggiornato al 20 dicembre 2023)