L’idea è brillante. Raccontare un mondo dai principi capovolti dove ad essere difesa pubblicamente e con veemenza non è la vittima bensì l’odiatore.
Questa l’intuizione semplice ma fruttuosa alla base del film Pecore in erba presentato nel 2015 del giovane regista ebreo Alberto Caviglia.
Perché specificare “ebreo”?
Sottolineare la provenienza di una persona (se trentino, italiano, norvegese o nigeriano) se essa è ininfluente per la comprensione della storia è qualcosa di veramente fastidioso. Ma in questo caso, questo aspetto un peso lo ha.
Sì perché il protagonista di Pecore in erba è Leonardo Zuliani, giovane antisemita inizialmente guardato con un qualche, per la verità flebile, sospetto dagli altri personaggi e infine complemante riabilitato se non addirittura incensato, proprio per le sue convinzioni.
Il film è costruito come un mockumentary ovvero un film di finzione che ricalca lo stile del documentario, generalmente con intenti parodici o satirici.
Ecco allora che in occasione dell’inspiegabile sparizione di Leonardo Zuliani seguiamo la sua storia raccontata dalla viva voce della mamma, della sorella, della conduttrice del telegiornale e da tutta una serie di personaggi presi dal mondo reale.
Leonardo svela la sua “inclinazione” ad odiare gli ebrei fin da piccolino quando a scuola scrive e illustra un fumetto che narra le malefatte di un suo compagno di classe ebreo, tal Mario, e intitolato significativamente Bloody Mario.
Da ragazzo è ossessionato dall’idea di un complotto ebraico e si avvicina ai militanti della cosiddetta “Lega Nerd” scoprendo però che essi sono tormentati da un’ossessione diversa: quella dell’invasione degli immigrati che rubano il lavoro. Gli adepti della Lega Nerd desidererebbero infatti abbandonare le proprie occupazioni socialmente rispettate e ben retribuite per tornare a fare “mestieri semplici” ma li scoprono invariabilmente occupati da stranieri. Leonardo, pur simpatizzando per loro, rimane fedele alla sua idea di complotto, e cerca di convincerli ad aiutarlo a liberare l’Italia dagli ebrei.
Ad un certo punto anche “grazie” ad anni di analisi il nostro diventa “libero di odiare” assurgendo per questo a paladino di tanti simili a lui.
La narrazione di questo passaggio è divertente e spiazzante insieme perché ricalca dei modelli di discorso che ben conosciamo: è una sorta di coraggioso coming out dove il protagonista prende consapevolezza di una propria diversità dalla media, accettandola e trasformandola in ricchezza.
Finalmente liberato dal senso di colpa e dallo stigma sociale, Leonardo stringe amicizie sospette, si iscrive alla Facoltà di relatività della storia moderna dove si appassiona al corso Le verità nascoste e diventa assiduo frequentatore degli stadi. Qui si distingue per l’invenzione di striscioni le cui parole possono essere anagrammate al momento opportuno: ecco quindi che l’innocuo “troppe pecore in erba” diventa “ebreo trippone crepa”.
Il film prosegue con una serie di trovate ironiche e paradossali: dalla riscrittura della Bibbia in chiave antiebraica, all’apertura di una serie di fast food dove viene servita solo carne di maiale.
Tutto questo a volte appare surreale ma viene ancorato ad una sorta di verosimiglianza perché a raccontarlo sono personaggi che ben conosciamo.
Il film infatti si regge su una serie corposa di cammei di personaggi reali che interpretano se stessi parlando però di Leonardo Zuliani e della sua sparizione: incontriamo così Carlo Freccero, Vittorio Sgarbi, Corrado Augias, Tinto Brass, Fabio Fazio, Ferruccio De Bortoli, Enrico Mentana e Aldo Cazzullo.
A volte ci si aspetterebbe qualche affondo in più sul tema, o qualche scarto nella trama e nella modalità narrativa, ma nel complesso Pecore in erba regge bene e si guarda volentieri.
Soprattutto ci lascia con un interrogativo: è davvero surreale un mondo dove ad essere compatito è l’odiatore e non la vittima? E’ davvero inverosimile una società dove il persecutore si presenta come il perseguitato e finisce per essere percepito come tale?
(Aggiornato al 17 ottobre 2022)