Il nome con l’accrescitivo “one” arriva già dopo le prime edizioni. Del resto, è il più grande evento gratuito di musica live in Europa: una maratona nata nel 1990 dalla collaborazione dei sindacati Cgil, Cisl e Uil con la Rai per celebrare con una “festa di musica” il centenario della festa del lavoro in Italia. Sulla manifestazione canora – da subito un grande successo di pubblico dal vivo e in televisione, nonostante una formula non sempre oliata a dovere – ci sarebbe molto da dire. Ma è intorno al saluto che dà il titolo a questo pezzo che voglio concentrarmi, ovvero la dimensione civile, prima ancora che politica, del concertone. Se nel 1996 Piero Chiambretti, conduttore e direttore artistico, continua la sua provocazione aggiungendo “Mi raccomando, non mangiate i bambini”, lo storico Cesare Bermani scrive che “i sindacati hanno sostituito alle celebrazioni e manifestazioni tradizionali del Primo maggio un imponente evento musicale, sottraendogli il significato di lotta e rivendicazione dei diritti dei lavoratori” (in Alessandro Portelli, Calendario civile, 2017). Troppo o poco rosso, insomma? Se tre indizi fanno una prova…
La location. Piazza San Giovanni è un luogo simbolo: è la piazza dei grandi comizi del Pci, dei funerali di Enrico Berlinguer e di chi si è indignato contro i governi Berlusconi, dai sindacati ai girotondini. Ma questa è anche la piazza in cui Giorgia Meloni ha puntato il dito contro se stessa facendo partire il ritornello “Io sono Giorgia…”. Insomma, la piazza è rossa nell’immaginario collettivo, ma sono finiti i tempi del monopolio cromatico. Già a fine anni novanta, la stampa parla di segnali di trasversalità ideologica al concertone e Marinella Venegoni annota che “alle bandiere con il Che si mescolano gli zainetti con la scritta dux” (ma sarà vero?). Fa sorridere poi leggere, sempre su La Stampa, che la piazza del concertone è “lo specchio di un Paese spaccato, tra chi crede che la musica sia emozione, intelligenza, speranza; e chi sta bene come sta e comunque tiene famiglia”. È il 2003 e in tv il Grande Fratello ha annientato gli ascolti del servizio pubblico!
La musica. Naturalmente la lineup contribuisce a definire il colore del primo maggio.

Faccio il gioco del primo e dell’ultimo e ne pesco 10 dal mucchio. Prima edizione, 1990: Litfiba, Zucchero, Edoardo Bennato, Pooh, Fabio Concato, Gianni Morandi, Pino Daniele, Caterina Caselli, Bob Geldof, Miriam Makeba. Ultima edizione, 2022: La Rappresentante di Lista, Marco Mengoni, Ornella Vanoni, Rancore, Colapesce, Mr. Rain, Coma Cose, Coez, Carmen Consoli con Marina Rei, Bandabardò con Cisco (e davvero tantissimi altri che, confesso, non conosco). Sarebbe facile pensare che negli ultimi anni il concertone abbia strizzato l’occhio più al mercato che all’impegno, che non ci sono più i De André, Guccini, Battiato, Jannacci ma nemmeno gruppi come i Gang, i Mau Mau, gli Üstmamò, o gli ospiti internazionali del calibro di Bruce Springsteen, Lou Reed, Radiohead, Alanis Morisette, Sinead O’Connor.

Ma in realtà la carta stampata lamenta già dalle prime edizioni che la scaletta è dettata più dai nomi di chi è in tournée o ha un disco in uscita da promuovere che dal repertorio impegnato dell’artista. Inutile fare i puri insomma.
Il concertone è una vetrina importante per il mercato discografico italiano, anzi, è un “emporio” come l’ha definito Massimo Bonelli, l’attuale direttore artistico. Ma la musica trova anche le sue vie per squarciare il velo dell’intrattenimento e lanciare messaggi a chi li vuole ascoltare. Al concertone questo succede più che altrove. I Modena City Ramblers rileggono in chiave rock Contessa di Pietrangeli ed Elio e Le Storie Tese cantano La società dei magnaccioni per “suggellare l’arrivo dei comunisti in Italia” (1996); De Gregori con Giovanna Marini fa risuonare quei versi al tempo già lontani eppure ancora oggi attualissimi: “E tutto è creduto, e tutto è dovuto, e tutto è rimpianto / In questa notte che si sta avvicinando ogni giorno di più / E non ti convince per niente il programma che stanno dando / Ma che strano, nessuno lo può più cambiare col telecomando” (2003); l’attesissimo Vasco Rossi canta Un ragazzo di strada dei Corvi, pezzo del 1966 che accenna alla disparità sociale prima dell’invenzione della “canzone impegnata” (2009); Marco Mengoni suona una cover di Blowin’ in the wind di Bob Dylan e Kateryna Pavlenko della band ucraina Go_A apre la giornata con Imagine di John Lennon (2022).

Infine, le parole. Il concertone è anche (e soprattutto) quello che si dice, quello che non si potrebbe dire e quello che non si riesce a dire. Ogni anno è dedicato a un tema che viene ricordato a più riprese e che racconta di come siano cambiate le “urgenze” nel nostro Paese: lavoro minorile, precariato giovanile, gender gap, fino alla ricostruzione della pace (invocata a più riprese da un decennio all’altro). Ogni anno si ricordano vittime, divenute ingiustamente tali: Giulio Regeni, i migranti nel Mediterraneo, le vittime del terrorismo, i morti sul lavoro, in Kossovo, in Ucraina. E poi c’è quello che non si potrebbe dire ma che artisti e artiste dicono, forte. E anche se rischia di scivolare via veloce tra le pieghe di un pomeriggio festoso, è l’assunzione di un punto di vista politico. Da un palco super-attrezzato e pieno di maestranze si levano voci contro Andreotti, Bush e Blair, Matteo Renzi (“il non eletto, il boy scout di Licio Gelli”), l’apertura dell’Expo proprio il primo maggio, l’omofobia, la Chiesa. Queste esternazioni innescano reazioni di censura, possibili nel passaggio dalla diretta della piazza alla diretta della televisione, con stacchi improvvisi di telecamere e interruzioni pubblicitarie. Il caso più eclatante è del 2004: la Rai opta per una differita di 15 minuti rispetto al live perché teme messaggi impropri in par condicio e mentre si gestisce la delicata vicenda degli ostaggi in Iraq. I cantanti rispondono inserendo in scaletta i loro brani più politici, coverizzano più volte Bella Ciao, Piotta dedica La grande onda alla madre appena scomparsa (“Se potete non censuratemi… è sempre stata di sinistra e iscritta al sindacato”); solo i Linea77 fanno salire la tensione quando arringano la piazza “sembra di essere ad una festa di Alleanza Nazionale, ma che vi hanno dato il bromuro?”.

Il concertone del primo maggio è un fenomeno di massa figlio del suo tempo, ancora capace di impegno tra le pieghe della musica (allora più rock e cantautorale, oggi più pop, trap e indie). Il suo colore rosso (o rosa pallido) dipende anche dalla situazione politica del Paese in quel momento: i toni si alzano quanto più al governo c’è una parte politica in netta antitesi con i valori di quella sinistra dove ancora si colloca la maggior parte di artisti e artiste del concertone. Quest’anno c’è da aspettarsi qualche scintilla. Con l’amara certezza che – come ha detto Luca/Zulù dei 99 Posse proprio da piazza San Giovanni – “siamo su questo palco per ricordare che non abbiamo niente da festeggiare”.
(Aggiornato al 13 aprile 2023)