Quando il cocktail si chiamava “bevanda arlecchino”: le politiche linguistiche dei regimi totalitari

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Nel suo romanzo 1984 (Mondadori, 2016/1948), George Orwell per la società distopica regolata dal Grande Fratello inventa un’apposita lingua perché controllare la lingua è propedeutico a controllare il pensiero; e tale assunto è ben chiaro anche nei regimi totalitari novecenteschi, ansiosi di intervenire con politiche linguistiche in grado di stravolgere i vocabolari correnti. Ecco qui degli esempi, più o meno riusciti, di interventi linguistici del fascismo e del nazismo! 

Per esotismi si intendono quelle parole straniere usate nel linguaggio comune, che il regime fascista considera come “imbastardimenti” del “puro idioma italiano”. L’11 febbraio del 1923 il governo, presieduto da Benito Mussolini, aggrava la tassa sulle insegne dei locali che adottano parole straniere; l’imposta esiste dal 1874. Mussolini vuole questa tassa poiché per lui l’abitudine dell’uso di esotismi da parte dei “gestori di botteghe” è un “indizio di deficiente spirito e sentimento italiano”. Erano infatti prevalentemente i borghesi delle città a usare parole, francesi o inglesi, per indicare le novità arrivate dall’estero:

Negli anni venti, sotto la spinta del regime, linguisti, intellettuali e scrittori iniziano un’opera di italianizzazione delle terminologie straniere. Testate giornalistiche tra le quali la Gazzetta del Popolo e La Tribuna creano dei contest, pardon concorsi, nei quali chiedono ai lettori di creare parole sostitutive. Il linguista Paolo Monelli tiene una rubrica sulla Gazzetta del Popolo dal titolo: “Una parola al giorno” che ha come obiettivo quello di  “purgare” la lingua italiana dai “barbarismi”. Monelli raccoglierà, poi, 500 parole sostitutive, nella sua fortunata opera Barbaro Dominio (Hoepli, 1933). Negli anni trenta il fascismo intensifica la sua politica di italianizzazione della lingua: nel 1934 vengono proibite le parole straniere sui giornali, nel 1938 è la volta delle insegne nei locali per il “pubblico spettacolo” e nel 1940 tocca ai nomi delle aziende e alle campagne pubblicitarie. Nel 1941 il regime crea una Commissione per l’italianità della lingua, espressione della Reale Accademia d’Italia, a cui viene affidato il compito di sostituire tutte le parole straniere. La commissione dovrà ammettere che, nonostante gli sforzi, alcune parole come “sport” e “film” sono ormai insostituibili. Altre invece hanno spodestato quelle straniere:

Altre ancora, inspiegabilmente, non ebbero la stessa fortuna:

Il regime si scaglia anche contro l’uso del “Lei”, considerato: “femmineo”, “servile” e straniero, preferendo “l’italianissimo” e virile “Voi”. Il cinema si adeguerà alla politica linguistica del tempo e ad esempio Via col vento (Metro Goldwin Mayer, 1938) è doppiato con il “Voi”.

La politica linguistica del regime fascista tenta di: eliminare gli esotismi, proibire l’uso del “Lei” e italianizzare le minoranze linguistiche, obiettivi che a posteriori possiamo valutare come fallimentari. Un altro problema del regime sta nel fatto che gli italiani nel loro privato usano il dialetto, il fascismo prova a risolvere questo problema eliminandone l’utilizzo a scuola, dal 1934, dove prima si insegnava la lingua partendo dal dialetto parlato dagli alunni. Anche questo obiettivo fallì, poiché l’unità linguistica nella nostra penisola fu raggiunta solo con l’arrivo della televisione. Per secoli la lingua italiana fu meramente letteraria, poi con l’Unità divenne amministrativa e infine con la televisione, nel 1954, irromperà nell’intimità degli italiani.  

Nella Lingua Tertii Imperii, la lingua del Terzo Reich da cui prende il titolo l’omonimo libro del filologo tedesco Victor Klemperer, la parola “fanatico” assume un significato in controtendenza rispetto alla sua storia. Non c’è più alcuna accezione negativa di questo termine, così com’è stato a partire dall’Illuminismo, quando indicava l’ottusità e l’arretratezza di una fede cieca. Invasato e intollerante, il “fanatico” nazista diviene invece un personaggio positivo; è appassionato, obbediente, ligio al dovere. Segue le regole del regime, se ne fa interprete rigoroso e mai dubbioso, ostinato e ferreo. Klemperer, linguista ebreo allontanato dalla cattedra universitaria e costretto al lavoro coatto in fabbrica, ne annota il cambio semantico. Acuto osservatore dell’imbarbarimento del Paese, comprende come questo cominci proprio dalla lingua. Nella Germania nazista le parole subiscono una strutturale risemantizzazione, talvolta, come nel caso di “fanatismo”, un vero e proprio rovesciamento. Sono “piccole dosi di cianuro” – così le chiama – inoculate quotidianamente nel linguaggio e quindi nel pensiero di un intero popolo; piccole dosi di veleno che permeano il vocabolario di un regime totalitario, seminando l’intolleranza e l’odio. Come in un universo orwelliano, dove il newspeak, la “nuova forma di parlare”, inibisce ogni libertà di pensiero, la lingua del Terzo Reich sostanzia la visione del mondo nazionalsocialista; è pertanto il “fanatico” il suddito modello, fedele osservante d’una visione del mondo estremizzata e brutale. 

(Aggiornato al 7 luglio 2022)

Orco Ramingo è un progetto multimediale. Nato nel febbraio del 2022 dall’incontro di un giovane storico e un giovane grafico, ha l’obiettivo (tramite podcast, video e Instagram) di decostruire l’immagine del passato che hanno le persone del nostro presente.