L’isola che non era un’isola

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Magdalena, stato di Sonora. Un gruppo di bikers si avvicina a una piccola cappella bianca. Bikers veri, intendiamoci. Baffi spioventi, gilet di pelle ricoperti di toppe, gigantesche motociclette con cromature che brillano sotto il sole del deserto messicano. Parcheggiano in fila davanti all’edificio, poi entrano. Sono venuti a porgere il loro saluto a un personaggio che qui è sepolto: per loro è un po’ un santo e un po’ un eroe. Cosa abbastanza incredibile, quest’uomo veniva dalla Val di Non, ed era morto in questa cittadina più di trecento anni fa. La scena non viene né da un film di Tarantino né da un video degli 883 (recentemente tornati di moda), ma da ¡Viva Kino! di Lia Giovanazzi Beltrami: un documentario che prova a raccontare la storia di Padre Eusebio Francesco Chini tra passato e presente. Ma andiamo con ordine, chi era questo Eusebio Chini?

Una scena dal documentario ¡Viva Kino!, 2017

Eusebio nasce a Segno nel 1645. La sua formazione avviene nei collegi dei Gesuiti, prima a Trento e poi ad Halle in Tirolo: il metodo educativo di questo ordine religioso era rivoluzionario per l’epoca. Già a fine Cinquecento aveva adottato un programma ben strutturato che abbinava l’insegnamento teologico alle discipline umanistiche, ma pure a una solida formazione scientifica. Eusebio, che dopo i primi anni di studio deciderà di entrare nell’ordine, passando in varie località della Baviera, seguirà proprio questo corso di studi:  egli si occupa di logica, filosofia, teologia, lettere, matematica, astronomia, cartografia. Per lui, evidentemente, la prima scoperta è quella del sapere.

Ma non era abbastanza, Eusebio sente il desiderio di partire. Quello era un mondo in continua espansione: non passava anno che non venissero scoperte nuove terre, che non venissero navigati nuovi mari e risaliti corsi d’acqua senza nome. Intere porzioni delle carte terrestri erano ancora bianche perché nessuno le aveva ancora mappate. Prospettiva eurocentrica? Non c’è dubbio. Quei fiumi senza nome probabilmente un nome ce l’avevano già, quello dato dai nativi del luogo. Un esempio: Eusebio incontrerà delle popolazioni che erano state chiamate Pima. Ecco, pare che questo nome, affibbiato loro dai conquistadores, derivasse dalla risposta ai primi tentativi di comunicazione: pi ‘añi mac! Ovvero “non capisco!”.

Uno degli aspetti salienti della Compagnia di Gesù era l’impegno missionario nei territori investiti dal colonialismo europeo. Uno dei più celebri rappresentanti dell’Ordine, Francesco Saverio, si era spinto fino in Giappone. C’era persino stato un altro celebre gesuita trentino che si era recato in Cina, Martino Martini. Questo paese esercitava sugli europei una curiosità particolare: un Impero millenario dotato di una cultura, estetica e conoscenze raffinatissime. Credo che tutti ricordino il verso di Battiato quando canta Gesuiti euclidei / Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori / Della dinastia dei Ming. Ecco, anche Eusebio avrebbe voluto essere uno di loro. La Compagnia invece deciderà di inviarlo in America Centrale, in quello che all’epoca era il Vicereame della Nuova Spagna. Trovare un passaggio non sarà facile, e rimarrà un paio di anni tra Siviglia e Cadice, studiando agricoltura, zoologia e farmacologia. Prosegue anche gli studi e le osservazioni astronomiche: lo spazio nel Seicento si espande non solo lungo la superficie terrestre ma anche verso il cielo. Appena arrivato in Messico, nel 1681, pubblica un libro su una cometa di cui aveva seguito il corso, anche durante il viaggio in mare. Le opinioni sugli effetti negativi della cometa gli vengono però contestate da un confratello gesuita, e ci mostrano come ormai, anche in seno alla Chiesa Cattolica, astronomia e astrologia fossero discipline inconciliabili.

“Map of California as an Island” di Johannes Vingboons, 1650 ca.

Giunto nel Nuovo mondo la sua opera di missionario e di cartografo (anche con incarichi reali ufficiali) vanno di pari passo. Egli percorrerà instancabilmente i territori che oggi sono il Nuovo Messico, l’Arizona e i territori messicani della Bassa California e di Sonora, segnalandosi, a quanto ci dicono le fonti dell’epoca, per un atteggiamento molto benevolo nei confronti dei nativi, a differenza dei coloni spagnoli, tutt’altro che teneri nei confronti dei propri sudditi. La sua impresa maggiore fu senza dubbio dimostrare che la Bassa California fosse collegata con il continente, visto che per secoli gli europei (anche il celebre corsaro Drake) avevano creduto che fosse un’enorme isola. Nel suo libro del 1701 Paso por tierra a la California y sus Confinantes Nuebas Naciones racconta questa sua impresa, raffigurata anche da una serie di mappe disegnate in base alle sue rilevazioni.

Screenshot da Google Maps del confine tra USA e Messico nella zona di San Diego

Ancora oggi l’iconografia più ricorrente di Padre Kino, come aveva cominciato a farsi chiamare, ce lo mostra instancabile, a cavallo. Intento a macinare quei trentamila chilometri di viaggio che gli vengono attribuiti, fino alla morte, nel 1711, all’alba di un’era radicalmente nuova. Alto, magro, dal viso scavato e assorto, con tonaca e cappello dalle tese enormi. Così viene rappresentato, anche se, non avendo ritratti dell’epoca, questa è un po’ una invenzione degli ultimi decenni. Oggi la sua figura è strattonata un po’ di qua un po’ di là: celebrata con grigliate e sagre a Magdalena de Kino in Messico, salutato come uno dei padri fondatori dell’Arizona negli Stati Uniti. In mezzo, a separare le zone che Kino avrebbe attraversato, un alto muro di metallo arrugginito. Uno dei confini più invalicabili e tristemente noti del ventunesimo secolo.

(Aggiornato al 20 dicembre 2024)